Code di paglia

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Qui su Tiri Mancini ho scritto di “Etica ed etichetta”. Poi ho scritto di “Coerenza e di marchette” e infine, l’ultima volta, ho scritto di “Leader e di capibranco”.

Che lo si creda o no – in fondo conta poco, ma veramente – quando ho scritto questi tre post non avevo in mente nessuna persona particolare, almeno non una in particolare per tutti e tre, ma neanche una per nessuno dei tre preso da solo. Conta poco, perché non si scrive mai per convincere qualcuno, scrivere – almeno per me lo è – è una forma di condivisione della mia opinione e dei miei sentimenti, certamente non è un veicolo di ricerca del consenso o di convincimento verso qualcuno.
Ho scritto cercando di dare un tono generale (non generalista), cercando – per quanto possibile – di evitare riferimenti diretti che potessero permettere a una e una sola persona di riconoscersi. Ho citato il mondo editoriale (che è quello che frequento e penso di conoscere un pochino), ma anche altri. Ho citato la rete – soprattutto nel primo post, che è quello esplicitamente alla rete riferito – ma anche dichiarando che quel che scrivevo era riconducibile a qualsiasi contesto.

Perché l’ho fatto? Perché ritengo che salire su un palco – sia pure virtuale – e puntare l’indice per giudicare, per condannare una persona senza conoscerla, senza avere evidenza del suo vissuto precedente e delle sue motivazioni, dei suoi perché, sia un atto spregevole. Sia parte di quel tipo di linciaggio che ho citato in “Etica ed etichetta” e sia tipico dei capibranco che ho criticato in “Leader o capibranco”.
Cosa è successo? Lo racconto per conoscenza, per risvegliare una attenzione sul fatto che ci può essere – in qualsiasi contesto e ambiente – un modo di comunicare che risponda a criteri di civiltà, semplicemente che ci possa essere un modo “educato” di essere in disaccordo, anche sulla rete dove scrivo queste cose.

E’ successo che – come in uno specchio a doppia faccia – qualcuno affamato di sangue (virtuale) mi abbia “accusato” di vigliaccheria, per non “aver avuto il coraggio” di esplicitare nomi & cognomi delle persone a cui mi riferivo. Per non aver messo in chiaro i blog dei quali criticavo i titolari e il loro stile comunicativo. Ma è successo anche che qualcuno abbia voluto, nonostante tutte le mie cautele, riconoscere a chi mi riferissi, sia fossero persone che blog.

Qualcuno ha voluto, a propria convenienza, usare me come punta di lancia per ferire chi, secondo lui, fosse meritorio delle mie critiche. Si può dire che ha strumentalizzato le mie parole? Si può.
La cosa peggiore però non è stata questa, tutto sommato comprensibile nei suoi meccanismi, anche se non giustificabile. La cosa che veramente mi ha dato da pensare è stato quando qualcuno – ripeto, nessun mio post era riferito a una singola persona in particolare – si è sentito direttamente e personalmente attaccato, criticato, preso in giro dalle mie parole.

Qualcuno si è sentito direttamente coinvolto dalle mie critiche verso la mancanza di un’etica della rete, si è sentito incoerente, si è sentito capobranco.

Ecco. Se mi aspettavo la prima parte, ammetto che la seconda mi ha spiazzato. Non credevo fosse possibile che avendo io scritto “esistono i ladri” “esistono le brutte persone” ci potesse essere qualcuno che mi venisse a rispondere “ce l’hai con me?”. Io la definisco “sindrome di De Niro” (dai che ci arrivate, Taxi driver). Ovvero quel senso di colpa latente, quella consapevolezza soffocata che qualcuno ha di essere in errore, con l’incapacità di ammetterlo perfino a sé stesso. Con la rabbia che esplode quando qualcuno – in questa grande piazza virtuale – pronuncia ad alta voce non il suo nome, ma il suo “peccato”, quel peccato, quella colpa, che lui credeva nessuno vedesse e che invece esiste.

Esistono rimedi, per questo? Io non ne ho. Io al massimo posso elencare dei vizi, dispiacendomi per quelli che ci si riconoscono. Io temo che queste persone abbiano un problema ben più grande di quelli che posso rivelare io, abbiano un ego di dimensioni talmente grandi che li obbliga a guardare solo al proprio ombelico e non oltre quello.

Io temo, anzi, non temo, in questo caso io so, che queste persone abbiano una coda di paglia di dimensioni elefantiache.

E io so – senza nessun timore di affermarlo – che a questo punto tantissimi si riconosceranno anche in questo post. Ma io che ci posso fare? Solo quel che fanno tutti i bravi scrittori che si vogliono parare il sederino; ci metto l’avvertenza.

“Ogni riferimento a persone, luoghi e fatti realmente accaduti è puramente casuale”.

Scritto questo, mi dispiace per voi, ma se vi ci riconoscete è un problema vostro. Non mio.

Fonte immagine: http://www.radiopuntonuovo.it/

Marco Proietti Mancini

Marco Proietti Mancini

Sono del 1961, quindi ho fatto tutta la vita in discesa (nel senso che non ha fatto altro che peggiorare). Scrivo da sempre, pubblico da poco e mi domando continuamente “ma chi me l’ha fatto fare?” Mi trovate qui, mi trovate su Facebook, mi trovate in libreria con “Da parte di Padre”, “Roma per sempre”, “Gli anni belli” e l’ultima creatura “Oltre gli occhi”. Ma tranquilli, se non mi trovate voi vi verrò a cercare io e scriverò di voi nel prossimo romanzo. Poi non vi lamentate se vi riconoscete nella parte del brutto e cattivo. “Tiri Mancini” è il mio personale terrazzino sul mondo, che di balcone famoso in Italia ne abbiamo già avuto uno e il padrone del balcone non è che abbia fatto una bella fine. Quindi – per chi passa e si ferma – preparatevi a gustare un panorama diverso da quello che vi mostrano gli altri, almeno io ci proverò, a farvelo vedere dal lato Mancini. Che fine farò io? Dipenderà da voi.