Parole alla fine dei mondi #2. Luce

di Isabella Moroni, in Blog, del 21 Dic 2014, 21:04

E d’improvviso è di nuovo luce.

Il solstizio d’inverno ci ha ufficialmente raggiunto. Da oggi il giorno durerà più a lungo.
In realtà, calendario solare alla mano, la notte più lunga dell’anno è stata il 3 dicembre scorso e da allora, rosicchiando secondo dopo secondo, il giorno si è ripreso il suo spazio.
Ma il calendario non era ancora stato inventato quando, i primi uomini si trovarono immersi, ad un certo punto del ciclo astronomico, in un periodo di buio così lungo da pensare che il sole si fosse fermato all’improvviso, dimenticandosi di ravvivare il mondo.

L’umanità degli albori, fortemente legata ai cicli della natura, viveva uno straordinario rapporto magico con la vita naturale anche se questa era sconosciuta, spesso indecifrabile ed il più delle volte paurosa. E per entrare in contatto con queste forze potentissime, cercando di comprenderle e di renderle meno orrorifiche, celebrava riti, feste e cerimonie di rinnovamento. Giungere al solstizio voleva infatti dire poter sopravvivere alla morteciclica e assicurare il ritorno del sole, della speranza, del cibo, del calore e della vita.

È stato così fin dall’inizio del mondo: il vecchio Sole muore e rinasce il Sole bambino. Per millenni, per innumerevoli dei e dee, in ogni parte della terra, la notte del passaggio attraversava il cerchio sacro di Stonehenge, o quello di Newgrange in Irlanda. Lo hanno raccontato anche Eraclito di Efeso, Omero e Virgilio.

Ovunque questa è la notte delle nozze sacre fra il buio e la luce, è il Sole Invincibile che prende il nome di Mithra in India, in Persia e nella Roma precristiana, di Horus in Egitto, di Dioniso in Grecia, di Tammuz a Babilonia, di Wiracocha fra gli Inca. Di Gesù.

Ed ancora, Giano, Quetzalcoath, Ercole, Adonis, Freyr, Zaratustra, Buddha, Krishna, Scing-Shin… ognuno legato all’altro dalla narrazione, dall’iconografia, e dall’immaginario, ognuno nato o celebrato nei giorni del solstizio.

Il giovane sole, dunque, ci porta la luce e con lei la possibilità di nuovi racconti, perchè la luce è uno degli strumenti della narrazione.

Raccontare è una questione di luce. Una questione di luce e di ombra, certamente, ma anche solo di luce e di spazio, e di dettagli. Come nella fotografia.

Sono certa che Julio Cortàzar sarebbe d’accordo.

Come la macchina fotografica, grazie alla luce, esalta tratti e contorni, ritaglia evidenze e profondità, scolpisce linee, profili e skyline nello spazio limitato di un’inquadratura, così il racconto ritaglia la realtà, la inserisce nello spazio esiguo delle pagine, ne fa risaltare le caratteristiche immanenti e fa in modo che il lettore costruisca a sua volta angoli, inventi lampioni fiochi o mezzogiorni splendenti guidandone le scelte attraverso lame di luce che s’acquietano come inchiostri morbidi.

D’altronde Alessandro Carrera nel suo libro La consistenza della luce ci ricorda che il legame tra luce e scrittura nasce etimologicamente dal privilegio visivo che la cultura greca ha accordato all’esperienza della vista rispetto ad altri possibili registri. “La luce, dunque è il ‟mezzo” in cui il mondo si mostra, la condizione generale di ogni esperienza possibile, il fondamento che da sempre la teoria cerca per le proprie enunciazioni”.

E visto che le idee si manifestano e dunque possono vedersi, quanti autori sanno di stare scrivendo con la luce? Quanti credono che, scrivendo la notte, possono entrare in contatto con margini inesplorati che, solo la luce rende tali?

E quanti, invece, scrivono con troppa luce, accecando il lettore, a volte anche di bellezza?

Il Sol Invictus ha bisogno di una porta, di un cerchio, di un passaggio. La narrazione ne segue le orme.
Da sempre.

Isabella Moroni

Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, mi dedico da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Direttore del magazine on line “art a part of cult(ure)” sono stata per dieci anni direttore responsabile del mensile “Carcere e Comunità” e co-fondatrice di “SOS Razzismo Italia”. Nel 1990 ho fondato l’Associazione Teatrale “The Way to the Indies Argillateatri”. Collaboro con diverse testate e mi occupo di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web. Amo soprattutto tre parole: libertà, semplicità, sogno.