La critica letteraria è morta

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La letteratura è morta. Dopo Pasolini, Levi, Calvino e Sciascia non c’è mai stata una produzione di romanzi italiani di qualità, tutto è stato assorbito dalla mediocrità e dal consumismo, con testi che hanno avuto successo solo grazie al lavaggio del cervello della televisione e del marketing, privi di qualsiasi validità sociale. Pochi intellettuali si spendono per la vera letteratura radicata nel sociale, di protesta, si schierano politicamente, e anche questi ultimi non valgono i grandi del passato. Le eccezioni a questa regola, inferiori di numero ai già pochi intellettuali, sono giovani autori di romanzi cosiddetti generazionali, perché è impossibile definire in altro modo un qualsiasi romanzo di un qualsiasi scrittore sotto i quarant’anni.

Si potrebbe sorridere a questo tipo di affermazioni se non fossero la base della critica italiana degli ultimi trent’anni e non venissero periodicamente riprese dai suoi esponenti, come Franco Cordelli in un’intervista di qualche settimana fa. Queste idee mostrano una staticità di pensiero e la mancanza di strumenti per analizzare la produzione contemporanea. Le prove di questa immobilità le fornisce Cordelli stesso quando parla di Scrittori e popolo di Asor Rosa, pubblicato nel 1965: un testo che analizza il legame tra lo scrittore, il suo ruolo sociale e il suo pubblico, e che non può essere considerato valido nell’era dei social network, per quanto brillante l’autore. Il contesto è completamente diverso, così come è diverso il mondo nel quale si muove lo scrittore.

Citare autori contemporanei validi non è un’argomentazione valida, non perché tali autori non esistano ma perché, se lo strumento di valutazione rimane inappropriato al periodo storico non ci può essere margine di dialogo. I romanzi scritti e pubblicati nel nuovo millennio parlano del presente ma, in letteratura come in ogni altra forma d’arte, la produzione artistica è legata alla situazione sociale in cui essa si genera. I nuovi autori parlano della contemporaneità attingendo al passato ma rompendo con le sue regole, proponendo una letteratura rinnovata nella lingua e nei contenuti.

Non è solo immobilismo di pensiero, questo processo è simile nella sua retorica a qualsiasi giudizio dato da una generazione precedente a quella successiva. A rendere grave la situazione è però la durata di questo passaggio generazionale, che Cordelli e tutti gli altri prima di lui sembrano far partire dal 1980 e dalla pubblicazione del Nome della rosa di Umberto Eco. Gli stessi argomenti si ripetono da così tanto tempo che i bersagli della critica trovano ormai queste affermazioni noiose. Vorrei fare una riflessione su un ultimo aspetto. Cordelli, in un saggio del 1974 da lui stesso citato sostiene che il pubblico della poesia siano i poeti, e nell’intervista riadatta la stessa tesi: il pubblico del romanzo sono i romanzieri. In altre parole, nessuno legge più perché la letteratura non esiste più. Personalmente, sono convinto che una delle tante cause dell’allontanamento dei lettori dalle librerie sia proprio questo tipo di approccio, elitario, snob e fine a se stesso, della critica. Asor Rosa, come viene ricordato nell’intervista, cita Jauss, secondo cui le opere sono significative in quanto recepite dai lettori. Sembra un paradosso, ma un testo di cinquant’anni fa riesce a essere più moderno degli ultimi trent’anni di critica letteraria italiana in una sola frase.

Redazione

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Mi pare che l’unico che ha ragione in questa discussione sia Giorgio Fontana quando dice che queste polemiche lo annoiano a morte.