La mappatura degli insulti su Twitter: se i social finiscono nelle mani sbagliate

di Sergio Mario Ottaiano, in Media, New media, del 27 Giu 2016, 09:00

140 caratteri per esprimere un pensiero. 140 caratteri per dare la propria opinione sulle tendenze, i fatti di cronaca e attualità del momento, per giocare con la cultura: questo è Twitter, uno dei social più famosi in circolazione, un ottimo mezzo di comunicazione che mette in diretto contatto utenti con interessi comuni attraverso l’utilizzo di tag diretti e hashtag.

Ma, come accade spesso nel mondo di internet, i social non vengono utilizzati sempre in maniera civile e corretta ai fini di uno scambio d’idee ed opinioni educato, anzi, i numeri parlano chiaro: spesso e volentieri tali mezzi di comunicazione vengono utilizzati per esprimere la propria intolleranza e il proprio odio nei confronti delle tematiche e delle categorie più disparate.

Per il secondo anno di fila il Vox, l’Osservatorio italiano sui diritti, in collaborazione con le università di Milano, Bari e Sapienza di Roma ha preso in esame il flusso di twitter geolocalizzato, per poter mappare l’intolleranza degli italiani.

Tra le varie città della penisola Roma e Milano sono le due che odiano di più, infatti, solo nella capitale sono stati rilevati 20.755 tweet riferiti ai 6 gruppi presi in considerazione (donne, migranti, omosessuali, ebrei, islamici e diversamente abili). Gli insulti vengono digitati con estrema facilità sul web e termini come negri, terroni, puttane, culattoni, ritardati sono all’ordine del giorno. Non si fanno sconti a nessuno neppure al Papa.

Silvia Brena, giornalista, co-fondatrice di VOX spiega: «La mappatura di Milano e Roma ci consente di dare una finalità concreta al progetto. Il senso ultimo è infatti quello di consentire azioni efficaci di prevenzione sul territorio. Conoscere le zone dove l’intolleranza è più alta, e quali sono le sue diverse declinazioni, consente alle amministrazioni pubbliche di costruire progetti ad hoc, per esempio nelle scuole e nelle zone considerate più a rischio. Perché imparare ad usare le parole giuste, parole capaci di elaborare emozioni e non lanciate come mattoni addosso agli altri, apre al confronto e all’inclusione».

Tale mappa, ideata sull’esempio della Hate Mape della californiana Humboldt State University
è il chiaro esempio di come la forza e la viralità dei social può diventare un veicolo privilegiato di incitamento all’intolleranza e all’odio verso gruppi minoritari, specie in presenza di episodi di violenza.

Marilisa D’Amico, costituzionalista, co-fondatrice di Vox, afferma: «Le parole “d’odio” che abbiamo mappato, durante questi mesi di lavoro, sono veicolo di discriminazioni e stereotipi che ostacolano l’eguaglianza effettiva, come sancita dalla nostra Costituzione. Per questo, i risultati della Mappa dell’Intolleranza dovrebbero rappresentare un segnale chiaro per la politica e per le istituzioni: i diritti non si garantiscono solo sulla carta, ma è necessario agire sul contesto culturale con azioni concrete e di prevenzione».

Sono 2.659.879 tweet, rilevati tra agosto 2015 e febbraio 2016, analizzati considerando 76 termini sensibili. Tra questi, 112.630 sono stati i tweet negativi geolocalizzati. Un numero decisamente rilvenate, indice della sempre più diffusa cattiva educazione al mondo d’internet e dei social in genere, spesso “garantita” dall’anonimato della rete.