Orizzonte Giappone di Patrick Colgan

di Beatrice Tiberi, in Blog, del 4 Apr 2015, 15:05

per gentile concessione di Patrick Colgan

per gentile concessione di Patrick Colgan

Una forma di narrazione desueta, quella del libro di viaggio. Eppure Patrick Colgan, giornalista e viaggiatore, ha raccontato un’esperienza di viaggio, anzi di viaggi, nell’e-book edito da goWare “Orizzonte Giappone”.

Nell’epoca di tutto a portata di clic, ha ancora un senso?

Non credo sia desueta perché per come intendo il libro di viaggio non può essere una semplice descrizione di un Paese o qualcosa che posso trovare con un clic. Abbondiamo di foto, di recensioni di alberghi e anche di blog, che però in molti casi – non sempre – restano un po’ sulla superficie. A me interessa il racconto di un viaggio come esperienza umana che ne racchiude in sé molte altre: l’incontro, la conoscenza, la scoperta, il confronto con l’ignoto, con la diversità. In questo senso per me passa anche in secondo piano il Paese in cui avviene il viaggio e questo tipo di narrazione si avvicina alla forma del romanzo.

Allo stesso tempo anche raccontare e descrivere ha ancora senso. C’è un grande bisogno di raccontare il mondo e ci sono parti del mondo che nessuno racconta. Ho appena finito un libro, Imperi dell’Indo, di Alice Albinia, in cui l’autrice si spinge nelle zone tribali pakistane del Waziristan. Un’area quasi inaccessibile, di cui si legge pochissimo, se non per occasionali operazioni militari. Tim Butcher in Fiume di sangue risale invece il corso del fiume Congo seguendo il percorso di Stanley nell’800 e arriva in località isolate, quasi inaccessibili che non sembrano di questa terra. Mi sembrava di leggere un romanzo ambientato in un futuro possibile, sembrava La strada di McCarthy: ho provato a cercare foto o informazioni su internet su questi posti e ho trovato pochissimo.

E anche i Paesi e i luoghi più raccontati sono in continuo cambiamento. Paul Theroux, lo cito spesso perché è fra i miei autori preferiti, sostiene che gli scrittori di viaggio svolgono una funzione simile a quella degli storici. Forse è un punto di vista un po’ pretenzioso, ma forse c’è anche del vero.

Ovviamente tutto questo c’entra poco con il mio breve ebook, ma questo sono, per me, i libri di viaggio, quelli che amo leggere.

Il turismo di massa ha reso tutto apparentemente vicino e comprensibile. Eppure ci sono luoghi che resistono alla comprensione. Ritiene il Giappone uno di questi?

In molti viaggi la comprensione è spesso solo apparente. Il Giappone però, secondo me, non concede nemmeno questa piccola soddisfazione. La mentalità giapponese così particolare ed ermetica e la scrittura basata sugli ideogrammi non cessano di sconcertare e affascinare il viaggiatore. Non comprendere, sentirsi smarriti per me è comunque parte integrante dell’emozione di un viaggio in Giappone.

Quandoè accaduto il passaggio da turista a viaggiatore? E saprebbe spiegare la differenza tra le due categorie?

Secondo me è una distinzione poco utile, nel senso che siamo un po’ tutti turisti e un po’ tutti viaggiatori, a volte anche all’interno dello stesso viaggio. E’ semplicemente un’etichetta. Ho assistito a polemiche deprimenti su questo tema e quindi ho smesso di preoccuparmene. Theroux, sempre lui, scrive che i turisti non sanno dove sono stati, mentre i viaggiatori non sanno dove stanno andando. E’ una definizione che suona bene, un po’ semplicistica, ma vera, per me. In mezzo, fra questi due poli, ci sono però molte sfumature.

Io ho imparato a viaggiare in modo un po’ diverso per gradi: la prima rivelazione fu al mio terzo viaggio con il biglietto interrail (un’esperienza bellissima) quando mi separai dagli amici e mi ritrovai solo in Scozia. Provai un brivido di inquietudine, ma anche un grande senso di libertà. Poi venne il viaggio di un mese da solo in Turchia dopo la laurea. E decisi che non avrei più smesso.

Nelle sue pagine emerge la volontàdi superare qualsiasi confine, primo tra tutti quello della lingua.

Mi piace come ‘gioco’ prima di ogni viaggio imparare un po’ della lingua del Paese. Anche solo imparare semplici frasi o parole come caldo/freddo, grande/piccolo, vicino/lontano permette di poter comunicare semplici concetti e lo trovo fantastico. Imparare una lingua avvicina le persone, abbatte le barriere: è un atto di umiltà che viene quasi sempre apprezzato da chi vive in un Paese e che può risultare anche molto utile.

E poi spesso basta davvero poco: mezz’ora, un’ora, una serata, sono sufficienti per imparare un po’ di frasi e parole a memoria. Ma spesso non si fa nemmeno lo sforzo di provarci. Io mi sono arreso solo prima di un recente viaggio in Laos: ogni sillaba poteva essere pronunciata in 4 toni diversi. Difficilissimo da imparare in poco tempo. Ma ci ho provato.

Al giapponese mi sono avvicinato così, imparandolo un po’ per gioco in preparazione al primo viaggio. E visto che mi era stato utile, che facevo progressi rapidamente e che avevo una forte nostalgia del Paese, ho continuato a studiarlo. Forse sono un po’… ossessivo quando mi fisso su una cosa, la voglio imparare, fare bene. E questo aiuta!

Il nostro è un paese dove la conoscenza delle lingue è scarsa e la scuola non fa nulla per colmare la lacuna. L’iniziativa è destinata a rimanere al singolo?

Non so se la colpa sia soltanto della scuola, credo il problema sia anche culturale. La lingua straniera in Italia è spesso vissuta come qualcosa di difficile, inaccessibile, faticoso. Spesso sento parlare con sconforto delle proprie esperienze con l’inglese, molti rimandano tutto a scorciatoie: “Dovrei andare a Londra un mese per impararlo”. Non è così, anche perché imparare una lingua necessita di interesse e passione. Il nostro cervello e la memoria funzionano in questo modo, ricordano meglio quello che per noi è importante, che tocca la nostra identità, che colleghiamo a esperienze significative, a ricordi. Quindi sì, andare in Inghilterra o in America aiuta, ma non è sufficiente se non ci sono passione e interesse, una motivazione forte. Forse per molti nel nostro Paese imparare una lingua è vissuto come una costrizione e non come una cosa importante e appassionante. E poi una lingua va coltivata: bisogna leggere libri, guardare film in lingua, una cosa che vedo fare poco.

L’ebook “Orizzonte Giappone” è corredato da foto. Una documentazione che rende estremamente piacevole la lettura, ma lo sforzo di catturare i momenti attraverso l’obiettivo non rischia di togliere intensitàall’esperienza?

A volte sì e me ne sono accorto. Ne scrivo anche, a un certo punto, della sensazione che un momento speciale mi stia scivolando via e della decisione di riporre la macchina fotografica. La macchina fotografica è spesso un ingombro anche mentale, un filtro che mettiamo fra noi e l’esperienza, senza contare che spesso si scattano foto completamente inutili.

E poi fare belle foto, significative, richiede tempo e impegno, un’attenzione specifica, a volte servono lunghe attese. E non sempre è possibile. Però ci provo e, nonostante tutto questo, alla mia reflex non rinuncio. L’importante è non scattare troppe foto.

Numerosi viaggi in Giappone per arrivare a conoscerlo a fondo. Oppure no?

Per ora, tornandoci una o due volte l’anno, sto soprattutto cercando di placare la nostalgia che ne provo e di sfogare la mia curiosità. Ma mi piacerebbe arrivare a conoscerlo sempre più. E’ la bellezza di tornare in un posto, approfondirlo. Amo i ritorni, la sensazione di riconoscere i luoghi, le persone, anche quando sono cambiati, sentirmi a casa dall’altra parte del mondo.

Allo stesso tempo sono soltanto un viaggiatore che ha letto e imperato qualcosa da autodidatta e sul posto, non so se potrò mai davvero conoscere il Giappone ‘a fondo’.

Che tipo di libri ama leggere?

Sono abbastanza onnivoro così dico qualche nome che mi viene in mente: amo Murakami, Eco, Bolano, McCarthy, fra i classici Dostoevskji, London, mentre come letteratura di viaggio Theroux, Bryson, Iyer e poi, certo, Terzani e Rumiz. Ma mi piace sempre scoprire nuovi autori. E se guardo la mia libreria su Anobii, che trovo utilissimo anche come archivio delle proprie letture, scopro che vado a periodi. Alcune volte leggo libri legati ai viaggi – vedo un periodo cubano, uno balcanico, per esempio – altre volte mi fisso su un argomento o un autore e leggo tutto quello che riesco a trovare.

Se dovesse racchiudere il Giappone in una frase, quale sarebbe?