E tu che categoria sei?

A leggere le rivendicazioni di categoria sembra che non esista in Italia – non mi espongo su quale sia la situazione nel resto del mondo, per manifesta mia ignoranza in merito – una sola categoria sociale, professionale o generazionale che si ritenga soddisfatta del suo status. Inteso in senso “categoria”, non in quanto singolo individuo appartenente alla stessa.
Facciamocene una ragione, se anche vediamo in giro facce di individui soddisfatti, espressioni appagate di conducenti di macchine costosissime, occhi brillanti di donne ingioiellate e siliconate, dobbiamo essere consapevoli che la loro soddisfazione è una maschera, una illusione, almeno a sentirli poi parlare, esprimere tutto il loro malcontento per le cose che non vanno, per lo schifo in cui si sentono costretti a vivere.
Certo, magari non come individui, che ti risponderanno che la macchinona e il gioiello, il ritocchino, il capo firmato e la vacanzina esotica sono in realtà un trucco, un arteficio utilizzato per cercare una soddisfazione che la loro vita – altrimenti – non gli concede.
Perché? Ma perché sono dentisti, ahimè! Che non sai qual’è la disastrosa situazione dei dentisti, in Italia? Perseguitati dal fisco, vessati dalla Finanza e vittime della spietata concorrenza degli odontoiatri che esercitano abusivamente, che contro gli odontoiatri nessuno fa nulla!
Ho scritto dentisti? Ma non è mica una critica contro di loro, la mia. Non esercitata contro loro o almeno solo contro di loro. Vogliamo parlare dei docenti – di qualsiasi scuola, pubblica o privata, ordine e grado? Del personale della scuola in generale? Degli studenti, dei pensionati? Dei dipendenti pubblici, privati, dei paramedici e dei medici? Dei dipendenti di compagnie aeree, per tacer dei dipendenti del trasporto? E dei corrieri espressi? E degli inquilini, padroni di casa, gestori di albergo, ristoratori e negozianti? Forze armate, ma anche Carabinieri e Polizia, per non tacer dei vigili urbani? E poi i magistrati e gli avvocati, i carnivori e i vegani, gli allopati contro gli omeopati, i motorizzati e i pedoni, i ciclisti e i motociclisti, i paesani, i cittadini, i contadini e i pastori, gli italiani, gli stranieri, i giornalisti…
Avete capito, no? Io ci ho provato, giuro ci ho provato a trovare una categoria che in quanto tale, CATEGORIA, si dichiarasse soddisfatta di quel che ha, di quello di cui gode. Ovvero a trovare un individuo che ti dicesse “sai, di lavoro faccio l’impiegato in una multinazionale, azienda privata. Non mi lamento, il lavoro non è male e tutto sommato me la cavo abbastanza bene.”
Niente, non esiste. Lo stesso individuo che vedi vivere una vita serena, appagata, concedendosi anche – ma mica troppo spesso – uno sfizio, una voglia o un capriccetto, quando gli ricordi come fa a farlo, a quale “categoria” appartiene, ti parte con la rivendicazione, con la lamentela.
Ho sentito lamentarsi perfino dei parlamentari, che lo crediate o no.
La cosa peggiore che mi è capitata di sentire è stato il confronto tra categorie, perché quasi sempre la propria categoria fa schifo anche e soprattutto se confrontata ad almeno un’altra, se non due. I pensionati vorrebbero tornare lavoratori, i lavoratori vorrebbero andare in pensione, i lavoratori insultano gli studenti, gli studenti accusano i lavoratori perché sanno che non riusciranno a divenire tali, i dipendenti privati criticano quelli pubblici, quelli pubblici aggrediscono i privati.
Apprezzate, vi prego, che in questo elenco di categorie ed invettive vi ho risparmiato un approfondimento sulle categorie del mondo editoriale, che di nemici e di gente che mi odia ne ho già abbastanza così, senza andare a stuzzicare ulteriormente editori ed editor, autori e critici, per non parlare dei blogger. La parola d’ordine del mondo editoriale, per dividersi tra categorie, è “voi non potete capire, foste al posto mio, capireste!”.
E certo. Tutti capirebbero tutto, se si mettessero al posto “dell’altro”. Ma a chi interessa farlo? A nessuno. Se anche fosse possibile farlo, cosa cambierebbe? Nulla, si passerebbe da un malcontento all’altro, da un disagio a uno diverso.
La soluzione non è lamentarsi, ma saziarsi, rimboccarsi le maniche e fare il conto di quel che si ha, non l’inseguimento a quel che non si ha. La soluzione non è separarsi, ma unirsi.
Forse non è neanche una soluzione, ma certamente è un “meglio che”. Meglio che lamentarsi, meglio che recriminare, meglio che insultare.

La soluzione è ignorare le categorie e giudicare le persone per la loro capacità di mettersi al di fuori dei comportamenti – lagne comprese – della categoria alla quale appartengono.

Quindi ve lo dico, io sono uno scrittore che si comporta e – prova – a ragionare e vedere le cose NON da scrittore. Un dipendente privato che prova a sentire le cose che sente un altro, dipendente pubblico o disoccupato che sia.
Ma soprattutto provo – non sempre ci riesco – a godermi quel che ho, invece che lamentarmi per quel che non ho o per i doveri che devo adempiere.
E lo sapete, cosa ho scoperto? Che appena si sporge la testa dal recinto e si mette il cervello fuori dall’ammasso, si sta molto meglio. Se poi oltre la testa ci si mette fuori del tutto dalla gabbia della categoria, allora si sta una meraviglia. Anche perché si sta in pochi.
Anche perché a stare fuori dalle categorie, si scopre di essere liberi.
Anche perché si scopre che dentro le categorie non ci andiamo mai da soli o per libera scelta, ma ci infila sempre dentro qualcun altro.

Quindi vi prego, non mi ci tirate dentro, otterreste solo il risultato di farmi infuriare (categoria “infuriati”) e di farmi sfondare il recinto, magari poi se ne accorgerebbero in tanti, che a non far parte di una categoria si sta meglio che a farne parte. Anche senza macchinone, senza gioielli e ritocchino.
Io riconosco una categoria sola, si chiama umanità.

Marco Proietti Mancini

Marco Proietti Mancini

Sono del 1961, quindi ho fatto tutta la vita in discesa (nel senso che non ha fatto altro che peggiorare). Scrivo da sempre, pubblico da poco e mi domando continuamente “ma chi me l’ha fatto fare?” Mi trovate qui, mi trovate su Facebook, mi trovate in libreria con “Da parte di Padre”, “Roma per sempre”, “Gli anni belli” e l’ultima creatura “Oltre gli occhi”. Ma tranquilli, se non mi trovate voi vi verrò a cercare io e scriverò di voi nel prossimo romanzo. Poi non vi lamentate se vi riconoscete nella parte del brutto e cattivo. “Tiri Mancini” è il mio personale terrazzino sul mondo, che di balcone famoso in Italia ne abbiamo già avuto uno e il padrone del balcone non è che abbia fatto una bella fine. Quindi – per chi passa e si ferma – preparatevi a gustare un panorama diverso da quello che vi mostrano gli altri, almeno io ci proverò, a farvelo vedere dal lato Mancini. Che fine farò io? Dipenderà da voi.