La Verità non fa notizia

Ricordo che quando ero un ragazzino – sì, lo so, risparmiatevi i facili sarcasmi, era un secolo fa. E non tanto per dire – le notizie duravano per giorni e giorni. Quelle importanti. Da qualsiasi parte del mondo provenissero, se erano notizie che cambiavano le cose, che tracciavano solchi e lasciavano segni, per settimane i quotidiani e i telegiornali continuavano a parlarne, approfondendole e mantenendole aggiornate. Ogni tanto, a distanza di mesi, le rilanciavano con enfasi adeguata.

Erano tempi in cui esisteva il “giornalismo di inchiesta”, quello che non si fermava ai dispacci di agenzia e ai rimbalzi velocissimi di immagini e informazioni prese dall’universo globale della rete. Erano tempi in cui se volevi una notizia, per averla prima degli altri dovevi essere lì prima degli altri, magari riuscire a essere presente mentre il fatto succedeva, oppure possedere una rete capillare di infermieri e poliziotti e vigili del fuoco che appena succedeva qualcosa ti chiamavano, chiamavano te e non l’altro giornalista.

Erano tempi in cui la notizia cresceva, aumentava giorno per giorno e si allargava a tutte le implicazioni, tutto quello che da quella notizia scaturiva.

Una strage era una strage, uno scandalo uno scandalo e una inchiesta arrivava a tutti, chiara, esemplare. Gli omicidi venivano raccontati, i processi documentati. Poca televisione a orari fissi, per avere una Edizione Speciale c’era bisogno che veramente si trattasse di un evento clamoroso, che giustificasse il cambio del palinsesto. Lo sbarco sulla luna, le olimpiadi dall’altra parte del mondo che andavano trasmesse di mattina.

Figuratevi che esistevano quotidiani del mattino, altri del pomeriggio. Alcuni della sera.

Poi è arrivata la televisione ventiquattro ore su ventiquattro, adesso abbiamo le news aggiornate ogni 30 minuti sui canali satellitari e abbiamo – anche e soprattutto – la rete che ci sommerge di fatti, di opinioni, di pareri di tutti, su tutto (compresi i miei, sì).

Quindi dovremmo sapere di più. Dovremmo conoscere di più e essere più informati, dovremmo, tutti noi uno per uno, la società intera, avere la consapevolezza della storia in cui viviamo, essendo noi stessi parte di quella storia. Dovremmo, soprattutto, avere memoria. Memoria. La memoria è il ricordo di quel che avviene nel tempo in cui viviamo, sommato ai ricordi di quel che non abbiamo vissuto, ma ci è stato tramandato. Tramandato dagli anziani, dai documenti, dalle immagini.

Invece ho la sensazione che sappiamo di meno, conosciamo di meno e meno siamo informati. Ho la sensazione che la valanga di informazioni che ci arriva nella nostra quotidianità H24 sia tale e tanta da impedirci di capire cosa sia veramente importante. Cosa cambi il mondo. Cosa meriti di essere ricordato. Ho la sensazione – e questa è la sensazione peggiore – che stiamo perdendo la memoria, non del passato, ma di quello che viviamo. Che di questo nostro presente non rimarrà memoria, ovvero che non rimarrà storia, condivisa, unica e insegnamento per le generazioni future.

Da cosa dipende? Da tanti fattori, certamente. Molti – ma sono mie opinioni – li ho già elencati nei miei post precedenti. L’incontrollabilità delle fonti e delle notizie, la proliferazione di tante diverse verità di comodo (quindi, per definizione non-verità), gli interessi, la dispersione di valori comuni e riconosciuti. Andateveli a leggere, se pensate vi possano interessare.

Ma c’è un fattore che secondo me prevale sugli altri; è la velocità con cui le notizie spariscono, tutte, anche quelle che dovrebbero rimanere. L’informazione è diventata un business, lecito o illecito, lo spazio, il tempo per ospitarla, sono diventati il vero oggetto del commercio, neanche l’informazione fosse un messaggio pubblicitario e il quotidiano, la televisione o il sito WEB che la riportano fossero ormai solo un cartellone pubblicitario, sul quale far scorrere il più velocemente possibile l’annuncio, per passare subito a quello dopo. Per continuare a mantenere alta l’attenzione, per permettere al sito WEB, alla televisione, al quotidiano, di raggiungere il suo vero obiettivo, vendere i suoi spazi/tempo, agli inserzionisti.

Chi strilla di più, chi mette più notizie, chi le cambia più spesso, attira più visite, spettatori, acquirenti. E’ da molto, ed è un fatto, che i quotidiani cartacei sopravvivono solo grazie ai contributi di stato e alle inserzioni pubblicitarie, questo da solo dovrebbe far capire che le notizie e la loro qualità sono l’ultima delle priorità della maggior parte delle redazioni.

Quante sono state le stragi di barconi, solo nell’ultimo anno? Quanti attentati, di tutte le matrici? Quante sono le guerre in corso e dove sono? Che fine hanno fatto le ragazze rapite da Boko Haram? Quante sono state le notizie che ci hanno attraversato gli occhi e quante, di quante veramente ci siamo impadroniti, fino a farle nostre, farle diventare memoria? Quante contribuiranno a costruire la storia, anzi, la Storia, con la S maiuscola?

Poche. Pochissime. Perché le notizie scorrono, scorrono veloci e diventano passato in fretta senza lasciare nulla se non – spesso – disinformazione e populismo. Se non diventare, sempre più, merce di scambio con cui costruire una storia di comodo. In cui anche le smentite, quando ci sono, anche la riaffermazione delle Verità (vedi Storia con la S maiuscola) diventa un fatto secondario, non più necessario. A chi interessa più la verità su quella notizia ormai vecchia?

La Verità non fa notizia.

Marco Proietti Mancini

Marco Proietti Mancini

Sono del 1961, quindi ho fatto tutta la vita in discesa (nel senso che non ha fatto altro che peggiorare). Scrivo da sempre, pubblico da poco e mi domando continuamente “ma chi me l’ha fatto fare?” Mi trovate qui, mi trovate su Facebook, mi trovate in libreria con “Da parte di Padre”, “Roma per sempre”, “Gli anni belli” e l’ultima creatura “Oltre gli occhi”. Ma tranquilli, se non mi trovate voi vi verrò a cercare io e scriverò di voi nel prossimo romanzo. Poi non vi lamentate se vi riconoscete nella parte del brutto e cattivo. “Tiri Mancini” è il mio personale terrazzino sul mondo, che di balcone famoso in Italia ne abbiamo già avuto uno e il padrone del balcone non è che abbia fatto una bella fine. Quindi – per chi passa e si ferma – preparatevi a gustare un panorama diverso da quello che vi mostrano gli altri, almeno io ci proverò, a farvelo vedere dal lato Mancini. Che fine farò io? Dipenderà da voi.