Strage di Capaci, il nostro tributo a Giovanni Falcone

La Mafia è una leggenda, un mostro mitologico, così reale e pure così sfuggente. Ne parliamo nel quotidiano, ne ascoltiamo nei telegiornali, ne leggiamo sulle pagine di una testimonianza, ne percepiamo la presenza costante e invisibile. Diventa ingombrante, questa presenza, il 23 maggio, perché improvvisamente ci ricordiamo che morì Giovanni Falcone, nel 1992, e ce ne ricorderemo fra pochi mesi, il 19 luglio, quando morì Paolo Borsellino.
Eppure siamo muti, sordi, ciechi ogni giorno che passa, per poi tornare indignati, feriti, come se la Mafia avesse colpito noi, quando dobbiamo ricordare.

Federica Colantoni

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All’epoca ero un bambino, dovevo ancora compiere 8 anni… Ricordo che il telegiornale della sera si aprì con quella tremenda notizia, e pur non capendo bene quello che fosse successo, in quanto “Cosa Nostra” non era un vocabolo della mia infanzia, capii la gravità dell’evento. Quelle macchine “accartocciate” sotto i cartelli dello svincolo autostradale, le immagini di repertorio di Giovanni Falcone, il dolore trattenuto a stento da Paolo Borsellino, che di lì a poco subì la stessa sorte. Lì forse ho preso coscienza che esisteva un mondo di uomini malvagi, che non hanno rispetto di niente e di nulla, mossi solo dal loro interesse di potere e soldi, che passa sopra tutto e tutti, uno Stato nello Stato che si alimenta ed è suo complice nei suoi personaggi più oscuri. A volte sembra che la Mafia non esista, o che sia quella raccontata dai libri o dai film, che sia un qualcosa di lontano da noi, che sia solo in Sicilia… Purtroppo non è così. La migliore arma di questo crimine organizzato è il silenzio: il silenzio di chi si piega ad esso, il silenzio nel quale passa inosservato, il silenzio di chi non ha il coraggio di denunciare, il silenzio di chi fa affari con esso. Falcone è uno dei tanti servitori dello Stato che è morto per difendere l’ideale di libertà, che è anche proprio della Cultura. La Cultura e la conoscenza che ne deriva da essa sono la più grande libertà dell’uomo moderno, e la Cultura non è silenzio, non è omertà… E’ espressione, è urla, è denuncia, è far vedere tutte le sfumature del mondo, belle o brutte che siano. La Mafia si sconfigge anche con la Cultura… forse è arma più potente di qualsiasi fucile o aula giudiziaria…

Francesco Arena

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Ai due giudici penso che queste celebrazioni annuali non sarebbero piaciute; Falcone e Borsellino erano due uomini estremamente discreti, riservati. Preferivano i fatti alle parole. Lo Stato lo avrebbero voluto presente sul territorio, durante la caccia ai mafiosi, durante le nottate passate in tribunale, al Maxiprocesso del 1986 e non alle celebrazioni. Quelli del pool antimafia non si consideravano eroi, loro stavano compiendo il proprio dovere di uomini di Stato. Gli agenti di scorta non si consideravano eroi, stavano svolgendo il loro lavoro. Loro non volevano essere eroi, a quel prezzo. Perché non si dovrebbe morire di giustizia. Siamo stati noi, dopo la loro morte, a considerarli tali. Perché ci siamo improvvisamente resi conto della loro esistenza e del loro lavoro. Penso sia banale dirlo, ma loro avrebbero preferito essere vivi: per continuare a lavorare, per migliorare il paese e per continuare ad amarlo. E invece, eccoci qui, ogni anno a “ricordarli”. Ho imparato a conoscerli in questi anni, e li avrei preferiti VIVI. Li avrei voluti conoscere di persona. Non leggendo di loro e guardando documentari in televisione. Il 23 Maggio e il 19 Luglio sono giorni che per me rappresentano la sconfitta dello Stato. Sono i giorni in cui sono morte persone GIUSTE, INGIUSTAMENTE. Nei miei pensieri, io li celebro tutti i giorni.

Michela Conoscitore

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Ogni anno, il 23 maggio, l’Italia intera (o almeno la sua parte sana) si veste a lutto per uno dei suoi figli migliori: Giovanni Falcone. E con lui – purtroppo o per fortuna – le celebrazioni ricordano la mafia e una regressione civile che ancora pare non essersi fermata. Manifestazioni, discorsi e conferenze: momenti di riflessione collettiva validi e storicamente formanti, ma poco utili se privi di funzionali messaggi propositivi e ancor meno se mancanti di interlocutori preparati al loro riuso. Possono la giustizia e la legalità essere costruite su poco più del ricordo dei loro fallimenti? Ma soprattutto, come formare i suddetti interlocutori? È auspicabile quindi che giornate di questo tipo non stimolino soltanto una doveroso pensiero di cordoglio, ma incentivino una più generale trasformazione culturale e morale. A partire da subito.

Veronica Secci

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Quando le ultime due vittime di mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, vennero uccise nel 1992, io avevo appena un anno, quindi non ho ricordi di quel periodo terribile. Tuttavia, col passare degli anni, mi sono più volte interessato alle vicende di questi due grandi “uomini o angeli”, come li ha definiti Fabrizio Moro in “Pensa”, per capire le storture di questo paese complicato chiamato Italia. Al termine del mio viaggio all’insegna della conoscenza e della ricerca della verità, la mia più grande rabbia non è stata tanto quella della lotta alla mafia scatenata solo dopo la morte di tanti uomini coraggiosi ed onesti, dato che in questa nazione non si fa mai niente se non avviene prima qualcosa di grave, bensì la mia ira si è scatenata poiché tutte queste persone non sono state “vittime di mafia”, ma “vittime dello Stato italiano”. La mia collera si basa tutta sulla consapevolezza che questi grandi uomini hanno lottato da sempre, non solo negli ultimi anni della loro vita, da soli e contro quello stesso Stato che avevano giurato di proteggere, uno Stato abituato a fare accordi con le mafie d’Italia sin dalla sua fondazione nel 1861, come abbiamo scoperto solo recentemente per vie traverse e tramite Internet. Tutti affermano che Falcone, Borsellino, Cassarà, Chinnici, La Torre, Impastato e tanti altri non sono morti invano; può darsi, dato che grazie a loro abbiamo scoperto tante cose, ma a tal proposito condivido lo stesso forte senso di frustrazione del grande Ferdinando Imposimato, che più volte ha ammonito i suoi due amici Giovanni e Paolo per non aver mai diffuso i nomi dei personaggi eccellenti che fecero accordi con i mafiosi. Forse non sarebbe comunque cambiato nulla, ma può darsi anche che qualcosa sarebbe potuto cambiare, grazie alle loro scoperte, scomparse “misteriosamente” nel nulla. Ormai parlarne è inutile, ma quel che è certo è che il loro coraggio mi è sempre stato di ispirazione per la ricerca della verità e di questo sarò sempre loro grato.

Mario Conoscitore

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Nel 1992 avevo solo otto anni. Eppure lo ricordo quel giorno. Quando diedero la notizia al telegiornale, all’improvviso mio padre si alzo di scatto dalla sedia e disse: “NO!”. Era incredulo, arrabbiato, si vedeva, ma senza altre parole. Io guardavo mia madre con fare interrogativo quando lei si mise il dito sulle labbra come a dirmi: “Non chiedere nulla”. Eppure io volevo sapere. Non capivo. Ascoltammo tutti in silenzio la voce fuori campo uscire dal televisore fino alla fine del servizio, in cui si vedevano rottami di macchine e foto di uomini per me sconosciuti. Poi mio padre spense il televisore e mi spiegò: chi erano gli uomini delle foto, cosa avevano fatto e perché erano stati uccisi. Mi disse che erano magistrati e indagavano sulle cosche mafiose. Io non sapevo cos’erano i mafiosi e così dovette spiegarmi anche questo: “I mafiosi sono persone molto cattive che fanno soldi a danno dello Stato sulla pelle della gente normale nel Sud Italia. Quei magistrati stavano indagando per incastrarli e metterli in prigione. Sono riusciti a farli smettere facendo saltare in aria la macchina blindata su cui si spostavano uccidendo loro e la scorta di poliziotti che li proteggeva. Sono morti per fare ciò che era giusto, pagando con la loro vita”. Fu la prima volta che capii davvero cosa fosse la Mafia ed è da lì credo, che nacque il mio grande rispetto per la Magistratura, per il suo ruolo e per quegli uomini: eroici nell’adempimento del loro dovere nonostante i rischi. Sono i santi laici dell’Italia. Oggi 23 maggio, in occasione dell’anniversario della strage di Capaci, penso sia giusto ricordare quegli uomini e ciò che hanno dato per il loro Paese. Quando svolgevo il tirocinio in tribunale, nell’ufficio del giudice che mi era stato assegnato campeggiavano al posto d’onore i ritratti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Italiani veri che della legalità hanno fatto il faro della propria esistenza e sono ancora simbolo dell’impegno che chi svolge la professione di magistrato si assume. Grazie di cuore a Giovanni, a Paolo e agli uomini e donne della loro scorta. Perché “chi ha paura muore ogni giorno, chi ha coraggio, muore una volta sola”.

Monica Pradelli

Letizia Battaglia fotografata dietro il giudice Giovanni Falcone durante un

La strage di Capaci è una delle pagine più brutte della storia del nostro Paese, e non è una frase di circostanza. È stato il momento in cui tutti hanno visto i buoni perdere contro i cattivi, per spiegarla nel modo più elementare possibile. Abbiamo assistito impotenti alla perdita di una certezza, alla sconfitta di un’idea forte e giusta. Ma non è esattamente così. L’idea non è stata sconfitta. La lotta alla mafia è forte, è presente ancora oggi. Il nome di Falcone, e di tutte le altre vittime della mafia, non è stato dimenticato. Si lotta anche nel 2015 contro un sistema malavitoso ormai radicato ovunque, sempre potente e a volte agisce quasi indisturbato. La risposta sociale a Capaci, a via D’Amelio, a Cinisi è stata potente e lo è ancora. Ma serve un’educazione di base, dobbiamo formare menti che vedono l’illegalità come l’eccezione, non la norma. È questa l’eredità di Falcone e di molti altri.

Grazia Pacileo

Foto: Letizia Battaglia

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Daniele Dell’Orco

Daniele Dell’Orco è nato nel 1989. Laureato in di Scienze della comunicazione presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, frequenta il corso di laurea magistrale in Scienze dell’informazione, della comunicazione e dell’editoria nel medesimo ateneo. Caporedattore del sito Ciaocinema.it dal 2011 al 2013 e direttore editoriale del sito letterario Scrivendovolo.com, da febbraio 2015 è collaboratore del quotidiano Libero, oltre a scrivere per diversi giornali e siti internet come La Voce di Romagna e Sporteconomy.it. Ha scritto “Tra Lenin e Mussolini: la storia di Nicola Bombacci” (Historica edizioni) e, sempre per Historica, l’ebook “Rita Levi Montalcini – La vita e le scoperte della più grande scienziata italiana”, scritto in collaborazione con MariaGiovanna Luini e Francesco Giubilei. Assieme a Francesco Giubilei, per Giubilei Regnani Editore, ha scritto il pamphlet “La rinascita della cultura”. Dal 2015 è co-fondatore e responsabile dell’attività editoriale di Idrovolante Edizioni.