Culturalmente Corretto: Google, il giudice (europeo) della nostra memoria

Una sentenza della Corte di Giustizia Europea di maggio scorso, aveva imposto a Google di eliminare, qualora qualcuno lo avesse richiesto, le informazioni personali presenti sul web se non più rilevanti per la società o, altrimenti, se possono alterare o ridurre il diritto, per i cittadini, all’autodeterminazione della propria immagine sociale: le informazioni personali, cioè i risultati delle ricerche che fanno riferimento ad articoli di giornale, fatti di cronaca, foto, video, sentenze di giustizia, o qualsiasi altro documento contenente notizie da voler rimuovere. All’indomani della decisione, Google ha costituito un comitato di esperti (tra cui Luciano Floridi, docente di Filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, e Frank La Rue, relatore speciale per i Diritti umani dell’Onu) con il compito di andare in giro per l’Europa e raccogliere idee, pareri, per creare una linea guida sulla quale conformarsi e per mezzo della quale poter agire. Il giro europeo è terminato, e finalmente il Consiglio dei Saggi, dopo intensi incontri pubblici nelle principali capitali europee e dopo numerosi confronti con esperti (avvocati, magistrati, giornalisti e professori universitari), ha redatto il famoso documento che stabilisce i criteri d’azione da utilizzare in risposta alle migliaia di richieste di de-indicizzazione.

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Il punto più critico del resoconto dei Saggi è sicuramente la questione della territorialità: la deidicizzazione riguarderà le versioni europee dei motori di ricerca, non quelle statunitensi. Parlando in parole povere, un cittadino francese può chiedere a Google di eliminare il link che rimanda al contento dell’informazione privata che vuole rimuovere, ma tale informazione sarà raggiungibile dal Google di oltreoceano. Infatti, non si tratta di eliminare la notizia scomoda in sè, ma si tratta di eliminare, compilando un semplice modulo online, i link a quella notizia: i motori di ricerca sono le porte che aprono al web, se qualcosa non appare lì sopra, praticamente scompare (in questo caso, scompare solo in Europa). Tale questione di territorialità è stata giustificata dall’interesse a voler rispettare due culture differenti: la prima, quella europea, dove il diritto all’oblio (quindi alla privacy) è determinato dalla legislazione e dalla giurisprudenza, la seconda, quella americana, per cui la sentenza della Corte di Giustizia Europea consiste in una violazione della libertà di espressione. Jimmy Wales, alla fine del rapporto non nasconderà il fatto di considerare inefficaci le soluzioni trovate, essendo inefficace la stessa sentenza: Questa relazione è uno sforzo in buona fede che risponde a una legislazione europea confusa contraddittoria, che chiede a Google di rispettare questa legge.

Sempre Jimmy Wales aggiungerà: Mi oppongo totalmente ad uno status giuridico in cui una società commerciale è costretta a diventare giudice dei nostri più fondamentali diritti come la libertà di espressione e la privacy, senza consentire alcuna appropriata procedure di appello per gli editori le cui opere vengono soppresse. Il Parlamento Europeo dovrebbe immediatamente modificare la legge per fornire un adeguato controllo giudiziario e protezioni rafforzate per la libertà di espressione. Infatti, dovrà essere Google a decidere se la richiesta di rimozione è appropiata o no, ma su quali basi? Può, un motore di ricerca, elevarsi a giudice e decidere quando e come acconsentire a questa volontaria perdita di memoria, rischiando di calpestare la trasparenza, l’informazione, l’integrità dei fatti storici?

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Altro aspetto rilevante del resoconto è quello che riguarda la figura dell’editore: nella sentenza della Corte di Giustizia Europea non è contemplata. I Saggi, invece, hanno previsto che l’editore possa essere ritenuto una vera e propria parte della controversia, non essendo assolutamente estraneo alla questione e, anzi, dovendo essere informato delle deindicizzazioni che lo riguardano. E’ emersa, quindi, la necessità che gli editori dispongano di un periodo di tempo per ricorrere contro la decisione, di fronte ad un giudice.

Google brancola nel buio, dovendosi muovere su un terreno nuovo, ma soprattutto pieno di buche: deve muoversi senza indicazioni e senza direttive precise barcamenandosi in una legislazione confusa, dispersiva e lacunosa. Google è chiamato a fare il giudice della nostra memoria non avendo la laurea in giurisprudenza e non disponendo del codice civile o della Costituzione. E’ giusto dare la possibilità ad ogni cittadino di poter eliminare informazioni private e scomode, ma è giusto delegare la verifica della richiesta e soprattutto la decisione di merito ad un motore di ricerca? Manca il tramite, manca il punto di contatto, manca un organo adeguato che se ne occupi.

Francesca Coli

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