Social Media: essere e apparire

Mostrare e scoprire, conoscere e farsi conoscere: nell’ era del web 2.0 cambiano modi e opportunità. Le nuove tecnologie e i nuovi social media permettono di entrare in contatto con una quantità indefinita di utenti, condividendo con essi contenuti. Immagini, foto, musica, pensieri, addirittura intere conversazioni attraverso la chat o i commenti. Fuori dall’era dell’innocenza, dove appare strano andare da qualcuno a chiedere di fare amicizia, la stessa richiesta tramite click appare normale, banale, quotidiana. Non vediamo nulla di sbagliato, non troviamo difficoltà nel farlo. Dietro uno schermo, si dice, è tutto più facile.

A dispetto di chi sostiene che non vi è più un gap tra identità digitale ed identità reale, nel complesso del “tutto più semplice” rientra anche la possibilità di crearsi un personaggio, di diventare una persona che non si è, per la semplicità con la quale si può mentire nascosti dalla distanza. I social network permettono incontri, dialoghi e conoscenze eludendo la comunicazione face to face.

Possiamo essere chiunque vogliamo essere, dando semplicemente informazioni distorte. Questo non deve avere per forza una connotazione negativa, non pensiamo subito ad un utilizzo dei social a scopo di lucro. L’essere riparati da uno schermo potrebbe aiutare a creare, attraverso affermazioni, esseri più sicuri di sé o più convinti delle proprie idee.

Questa costruzione di una nuova immagine di sé può derivare forse da un’insicurezza di fondo che genera desiderio (con tentativo) di cambiamento, ma anche dalla semplice volontà di apparire migliori e più forti, creandosi così una nuova opportunità. Il web non permette solo gli incontri virtuali tra simili, ma anche con i datori di lavoro.

Oggi lo scouting avviene sui social media, esattamente come lo spolio dei curricula. Per questo bisogna prestare attenzione alle impostazioni sulla privacy, alle opinioni troppo esplicite o alle affermazioni astruse. Ciò che si può creare sul web può essere distrutto dal web stesso.

Si può notare come le persone siano entusiaste di esprimere le proprie idee ed opinioni su eventi, politica e avvenimenti. Basti pensare all’uso degli hashtag, ai tweet, ai video di commento nei canali di Youtube. Gli utenti vogliono far sentire la propria voce, vogliono tentare di essere incisivi su ciò che sta accendo. Affermare le proprie idee, tentare un cambiamento. Si può però notare come la maggior parte di queste affermazioni siano negative, critiche, piuttosto che propositive. Per questo l’uso del “mi piace” su Facebook, per esempio, è decisamente ambiguo. La condivisione dovrebbe trasmettere una conoscenza ulteriore e una sensazione positiva, la stessa mancanza del “non mi piace” dovrebbe esserne una prova.

Non è possibile poter effettuare una raccolta dati esatta sui contenuti degli utenti, in quanto essi rappresentano solo una parte della popolazione mondiale. Molta è all’ oscuro (o rifiuta) delle potenzialità dei social, mentre altri creano profili falsi con falsi contenuti. Inoltre l’utilizzo dei diversi social è molto schematizzato: Pinterest è preferito dalle donne over 25, mentre Instagram copre la fascia soprattutto urbana fino ai 29 anni; Facebook poi contava 1 miliardo di utenti nel 2012 e vedeva attive socialmente soprattutto le donne, mentre Twitter conta 230 milioni di utenti con tweet attivi anche dal punto di vista pubblicitario.

Redazione

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