Sì al “politically correct”, no al “tribuno”. Nulla per il pubblico

di Gennaro Pesante, in Blog, Editoria, Media, New media, Televisione, del 28 Giu 2017, 13:36

Sui numeri ha ragione Fazio. E ha ragione la Rai. Non rinunci a un autore che ti porta in cassa più di quanto lo paghi grazie alla raccolta pubblicitaria che si effettua durante la messa in onda dei suoi programmi. E quindi, per “caro” che sia, Fabio Fazio resta dov’è. Il tema del “risparmio”, con tutto il suo carico vagamente populista, lascia il tempo che trova quando hai a che fare con la chiusura dei palinsesti del prossimo anno e non hai colpi particolarmente clamorosi in canna. Perché questa è l’altra faccia della medaglia: Fazio è bravo, ma i suoi colpi migliori li ha esauriti da tempo, da “Quelli che il calcio”, format geniale per l’epoca – oggi rotocalco sportivo copia sbiadita dell’originale – alle prime stagioni di “Che tempo che fa” dove parlava in modo simpatico “anche” delle previsioni del tempo. Oggi quel programma è il solito salotto-markettificio a uso e consumo di chi presenta film-libri-dischi-etc, con le ospitate dei grandi nomi e una collocazione in palinsesto difficile da contrastare per la concorrenza.

La riflessione vera andrebbe fatta su altro, e sarebbe sul tema che la Rai non abbia davvero da proporre alternative a Fazio, dato che lo hanno pure rincorso perché “altrimenti se ne andava a La7”, circostanza peraltro non verificata e comunque smentita. Detto questo, quando a La7 ci andò Floris, dicendo nel suo ultimo Ballarò “ci auguriamo che chi ci ha seguito di qua continui a farlo di là” poi in effetti si portò dietro meno della metà del suo pubblico. In realtà la sensazione sembra essere di più quella di una Rai a corto di idee e progetti, che va sul sicuro, e che preferisce il politically correct a tutti i costi, magari lento noioso e scontato, ma rassicurante, a qualcosa di effettivamente nuovo che, ad oggi, non c’è. Fazio rischia di diventare una sorta di Baudo dei nostri tempi, buono per tutte le stagioni, ma che alla fine è diventato – con tutto il rispetto – il monumento a se stesso.

Quanto a Giletti, è vero che “l’Arena” faceva ascolto, ed è certamente vero che nella sua chiusura ci sia stata una componente di pressione politica. Però andrebbero rimarcate tutte le volte, e non sono state poche, che il “tribuno” Giletti si sia scagliato senza risparmio sui temi della cosiddetta “casta” troppo spesso sbandierando notizie imprecise, quando addirittura senza fondamento, fomentando gli ospiti e aizzando il pubblico come se davvero si trattasse di una “arena” dove l’obiettivo dichiarato era dare addosso alla politica in modo a volte irresponsabile e a senso unico. Insomma, un populismo becero che francamente aveva ben poco a che vedere con la mission di “servizio pubblico” che la Rai è chiamata ad applicare. Ora l’ex conduttore del Tg2 avrà la possibilità di rifarsi con la conduzione di eventi in prima serata. Fossi in lui sarei contento, infatti non sembra si sia lamentato più di tanto. Della sua sorte si sono preoccupati di più i politici, come al solito, probabilmente gli stessi cui l’Arena aveva dato fastidio. Perché come sempre la politica da’, la politica prende. Ah, quasi dimenticavo: idee nuove per il pubblico che guarda la tv?! Nessuna.

Gennaro Pesante

Gennaro Pesante, nato a Manfredonia nel 1974. Giornalista professionista, vive a Roma dove lavora come responsabile dei canali satellitare e youtube, e come addetto stampa, presso la Camera dei deputati.