Orient Express: la pena di morte in Oriente

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L’ottocentesco Orient Express non era soltanto un treno: era il primo ponte tra l’Occidente e l’Oriente, un mondo distante, diverso e sicuramente affascinante. Lo scopo di questa rubrica è lo stesso di quel treno che ormai non è più in servizio: portare i suoi passeggeri in luoghi lontani, scoprire cosa succede in queste terre, illustrare eventi insoliti, tradizioni e pensieri dei popoli che vivono ad Oriente.

L’appuntamento di questa settimana non è una vera e propria fermata. L’Orient Express, questa volta, vi conduce in una sorta di interrail in Oriente, per trattare un argomento delicato e controverso: la pena di morte. Non è questo lo spazio per discutere della sua utilità o della sua legittimità, vorrei semplicemente offrirvi una panoramica su come alcuni tra gli stati orientali si relazionano con la pena capitale. I casi di applicazione della pena di morte nel mondo sono progressivamente in calo, specialmente dal 2007, anno in cui l’Onu ha approvato una risoluzione (su iniziativa italiana) per una sospensione internazionale delle pene capitali. Tuttavia sono ancora 58 le nazioni nel mondo che praticano le esecuzioni (per reati più o meno gravi) e circa il 90% di esse hanno luogo in Asia e nel Pacifico.

Myuran Sukumaran e Andrew Chan, due spacciatori australiani fermati a Bali nel 2005 con 8kg di eroina, consegnati alle autorità indonesiane e condannati a morte l’anno successivo.

Myuran Sukumaran e Andrew Chan, due spacciatori australiani fermati a Bali nel 2005 con 8kg di eroina, consegnati alle autorità indonesiane e condannati a morte l’anno successivo.

Prima fermata dell’Orient Express: Indonesia. Il suo presidente Joko Widodo, proprio in questi giorni, ha difeso il diritto di usare la pena capitale, pena prevista per 16 reati. Sono 4 le esecuzioni che si registrano dal 2008 al 2014. Poi, nel 2015, il radicale cambio di passo: ad oggi sono già 6 le persone giustiziate, tutte per traffico di droga. Ben 5 su 6 erano stranieri, altri 9 saranno fucilati a breve, tra cui Myuran Sukumaran e Andrew Chan, due spacciatori australiani fermati a Bali nel 2005 con 8kg di eroina, consegnati alle autorità indonesiane e condannati a morte l’anno successivo. È proprio intorno a loro che si sta montando la polemica internazionale, capeggiata da Amnesty International e dal governo australiano che dal 1973 ha smesso di applicare la pena di morte con l’approvazione del Death Penalty Abolition Act. A nulla sono servite le manifestazioni, l’arte diplomatica e le accuse di inumanità. Nei prossimi giorni, a circa 72 ore dall’esecuzione, i prigionieri saranno informati che il loro tempo è giunto: verranno condotti in un’area segreta dell’isola di Nusa Kambangan e saranno fucilati.

Torniamo sul nostro Orient Express e puntiamo verso nord: la seconda fermata che ci attende è il Giappone. La pena di morte nel paese del Sol Levante è legale ed attuabile solo per i casi di omicidio. La decisione viene presa attraverso una serie di 9 criteri, alcuni ovvi come violenza del gesto, le motivazioni e le modalità, altri più “giapponesi” come l’impatto del gesto sull’opinione pubblica, i sentimenti dei familiari dei defunti e il grado di rimorso espresso dall’assassino. La sentenza deve essere applicata entro 6 mesi dall’eventuale fallimento dell’appello finale del prigioniero ed avviene per impiccagione. Nel 2014 sono stati 3 i casi di pena capitale e quest’anno è stata confermata la sentenza per Tomohiro Katō, autore del celebre “Massacro di Akihabara”. L’8 giugno 2008, l’uomo (all’epoca 25enne) a bordo di un furgoncino, investì numerosi passanti che si trovavano ad Akihabara, famoso quartiere di Tokyo ritrovo di numerosi appassionati di manga e anime e, dopo essere sceso, accoltellò chiunque si trovasse intorno a lui. Vi furono in tutto 7 morti e 18 feriti. In seguito alla sua cattura e agli interrogatori emerse che soffriva di depressione, che avrebbe perso di lì a poco il lavoro, che era vittima di cyber-bullismo, che si sentiva solo, che era schiavo del suo cellulare, che i genitori lo avevano cresciuto con forti pressioni per fargli ottenere risultati eccellenti nell’istruzione e nello sport. Circa 20 minuti prima dell’insano gesto aveva lasciato scritto su alcuni siti internet che avrebbe ucciso delle persone, spiegando dettagliatamente dove e quando. Ma non solo: il ragazzo si è lanciato in un accorato appello in cui si definiva un “uomo rovinato” descrivendo alcune delle cause del suo disagio. Il “Massacro di Akihabara” ha avuto una vasta eco sul Giappone. In questo terribile evento sono presenti molti dei punti deboli della società nipponica: la solitudine dei giovani salary-man, la dipendenza da internet, le incredibili pressioni a cui sono sottoposti gli studenti. Ad ogni modo, la depressione di cui soffriva Tomohiro Katō non è stata giudicata un’attenuante per il suo folle gesto, l’appello dei suoi legali è stato respinto e presto verrà giustiziato.

Alcuni parenti delle vittime del Massacro di Akihabara, in cui persero la vita 7 persone. L

Alcuni parenti delle vittime del Massacro di Akihabara, in cui persero la vita 7 persone. L’omicida è stato condannato a morte.

Ci spostiamo in Cina che possiede il triste primato per il maggior numero di esecuzioni annue. Il numero preciso è “un segreto di stato” ma la cifra non dovrebbe scostarsi troppo dalle 5000 morti all’anno, anche se spesso l’opinione pubblica non viene nemmeno informata delle uccisioni. Negli ultimi anni i reati perseguibili con la pena di morte sono passati da 68 a 55, alcuni dei quali in Italia non sarebbero nemmeno punibili con il carcere, come appiccare un incendio doloso, il furto o l’appropriazione indebita di beni altrui. La morte viene indotta tramite iniezione letale o fucilazione. Negli ultimi giorni è stata confermata la pena di morte per Chen Yi, una donna di 37 anni a capo della più grande compagnia assicurativa di Shanghai, la Shanghai Fanxin Insurance Agency, coinvolta in movimenti illegali per la raccolta fondi. Si tratta della pena più severa mai commutata per frode economica: la compagnia aveva guadagnato in maniera illegale circa 163 milioni di dollari truffando più di 4mila investitori costretti alla bancarotta. La donna, alla notizia delle indagini, era fuggita nelle isole Fiji dove è stata catturata nel 2013. Il governo cinese ha promesso nuove indagini in ambito economico, che negli ultimi anni è diventato teatro di “autentiche barbarie”. Amnesty International ha già espresso la sua preoccupazione riguardo all’elevatissimo numero di sentenze capitali, ma la Cina non sembra avere intenzione di modificare il suo sistema giudiziario.

L’ultima fermata di questa settimana è quella in Mongolia. Abbiamo parlato di pene di morte per traffico di droga, per omicidi gravi che hanno sconvolto i media, per motivi economici. Reati gravi e reati meno gravi. Proposte di abolizione e proclami di legittimità dei provvedimenti. Il panorama orientale della pena capitale è complesso e variegato ma ci sono anche alcuni stati che hanno abbandonato l’utilizzo di questa pratica. È proprio il caso della Mongolia, che grazie al suo presidente Tsakhiagiin Elbegdorj, fervente oppositore di tale condanna, dal 2012 ha abolito la pena di morte, precedentemente prevista per 5 reati. L’essere storicamente adottata e concepita in una nazione è una delle principali motivazioni usate per giustificare l’utilizzo della pena capitale. Con il passare degli anni e con l’avanzare del progresso, tuttavia, è auspicabile un passo in avanti. Voltare pagina è possibile: questa foto, del 1922, è stata scattata proprio in Mongolia e raffigura una donna condannata a morire di fame. Fortunatamente, per i mongoli, è solo un brutto e lontano ricordo.

Mongolia, 1922 ca: una donna è condannata a morire di fame. La Mongolia ha abbandonato l

Mongolia, 1922 ca: una donna è condannata a morire di fame. La Mongolia ha abbandonato l’utilizzo della pena di morte nel 2012.

Stefano Bizzarri

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