A tavola con gli scrittori: ricette d’autore nell’era di Masterchef

In un’epoca in cui gli chef stellati sembrano aver monopolizzato il palinsesto televisivo, attraverso ripetute sfide ai fornelli, il cibo e l’idea stessa di cultura enogastronomica sono in continua evoluzione. Da Masterchef a Cucine da incubo, i programmi televisivi sul cibo e sulla cucina aumentano di giorno in giorno. Se accendete la tv, c’è solo l’imbarazzo della scelta.

La letteratura non è da meno. Non sono rari i casi in cui anche gli scrittori si cimentano nella descrizione di pasti – alcuni prelibati, altri meno raffinati – che accompagnano la loro vita e quella dei personaggi dei loro romanzi. Da Joyce a Camilleri, in molti casi gli scrittori riescono a descrivere in maniera sublime e minuziosa pietanze succulente e pranzi sontuosi, dei quali a volte si può leggere persino la ricetta dei cibi preparati, e ci consentono di assaporare le stesse sensazioni dei protagonisti del racconto.

Uno dei romanzi più celebri del Novecento, l’Ulisse di Joyce, inizia proprio illustrando le preferenze culinarie del protagonista: «Mr Leopold Bloom mangiava con gran gusto le interiora di animali e di volatili. Gli piaceva la spessa minestra di rigaglie, gozzi piccanti, un cuore ripieno arrosto, fette di fegato impanate e fritte, uova di merluzzo fritte. Più di tutto gli piacevano i rognoni di castrato alla griglia che gli lasciavano nel palato un fine gusto d’urina leggermente aromatica».

Degno di nota è il filone dei cosiddetti “romanzi golosi” o “gastronomici”, ovverosia quei testi che affidano al palato un ruolo centrale. Autorevole precursore del genere, pur trattandosi di un libro di memorie, può essere considerato il libro di cucina di Alice B. Toklas, I biscotti di Baudelaire, dove l’autrice racconta le vicende di scrittori e artisti che gravitavano attorno alla vita di Gertrude Stein e alla propria, tra cui Hemingway, Fitzgerald e Sherwood Anderson, descrivendone le eleganti cene preparate nelle diverse occasioni. Tra questi libri possiamo annoverare Il grande dizionario di cucina di Dumas, una vasta raccolta di menù e pranzi memorabili: un testo ricco di numerose ricette culinarie, dai “pomodori alla Grimod de la Reynière” alla “insalata di tartufi bianchi del Piemonte”.

La letteratura presenta, inoltre, un repertorio molto vasto di ambientazioni ed episodi legati al cibo. Si potrebbero elencare numerosi libri costruiti intorno a un banchetto, dal Simposio di Platone al Satyricon di Petronio, con le leggendarie portate della cena di Trimalcione: «Quanto al vassoio, vi campeggiava un asinello in corinzio con bisaccia, che aveva olive bianche in una tasca, nere nell’altra. Ricoprivano l’asinello due piatti, su cui in margine era scritto il nome di Trimalcione e il peso dell’argento. E vi avevano saldato ancora dei ponticelli, che sostenevano ghiri cosparsi di miele e papavero. E c’erano dei salsicciotti a sfrigolare su una graticola d’argento, e sotto la graticola susine di Siria con chicchi di melagrana».

In alternativa, si potrebbero seguire le indagini dei detective amanti della buona cucina, dal Maigret di Simenon al commissario Montalbano di Camilleri, spesso inframmezzate da pietanze appetitose.

Nel romanzo del 1996, Il ladro di merendine, si legge: «“Perché non resta a mangiare con me?” Montalbano si sentì impallidire lo stomaco. La signora Clementina era buona e cara, ma doveva nutrirsi a semolino e a patate bollite. “Pina, la cammarea, è un’ottima cuoca. Oggi ha preparato pasta alla Norma, sa, quella con le milanzane fritte e la ricotta salata.” “Gesù!” Fece Montalbano assittandosi». Mentre nel racconto intitolato Gli arancini di Montalbano si può “gustare” l’intero processo di preparazione della rinomata specialità siciliana: «Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato [sugo] di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa, (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia canticchia [un po’] di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!».

Insomma, a voi tutti buona lettura, e buon appetito!

Redazione

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