Calcata, un borgo sospeso alle porte di Roma che non conosce la modernità

Il cartello stradale che sta a indicare la fine dell’area provinciale di Roma e l’ingresso in quella di Viterbo è appena un paio di minuti d’auto alle spalle, ma usciti dalla Cassia bis ci si sente già catapultati in una dimensione del tutto diversa da quella della semplice campagna romana. Inerpicandosi su una serie di curve, immersi tra una serie di alberi di quercio e di ulivo, compare all’improvviso inaspettato e maestoso, sospeso sulla valle del Treja: Calcata. Uno dei più incantevoli e decadenti paesaggi laziali, un “paese che muore” come la più celebre Civita di Bagnoregio. Case brune le cui fondamenta affondano nella roccia tufacea, come un’estensione naturale del colle, con colori caldi tra il marrone e il porpora, dove un borgo medievale di 918 anime resiste al tempo e alle leggi gravitazionali, trattenendo meraviglia e mistero.
Oltrepassando il portone principale, il telefono non dà segnale, non arrivano più messaggi su whatsapp né telefonate o sms, e magicamente ci si sente in un’altra epoca. Un’atmosfera indefinita, difficilmente riconducibile ad uno stile urbanistico-architettonico preciso, e che riporta alla mente quella di un villaggio in stile “fantasy”. Strade strette che compongono un piccolo labirinto, odore di umido e incenso per i vicoli, terrazzini con fiori e cactus sospesi nel vuoto.

Le voci dei visitatori si perdono tra vecchie case e portoni di legno, mentre i gatti sornioni dormono al sole. Passeggiando distratti dagli scorci unici, non ci si rende conto che, dietro ogni angolo, ci si ritrova affacciati a strapiombo sulla valle. Il vasto bosco sottostante toglie il respiro e ridona una primordialità silenziosa, quasi impenetrabile, lontana.
Calcata è uno dei borghi italiani che vennero ritenuti “pericolanti” dopo il terremoto di Messina del 1908. Poco più tardi, negli anni ’30, venne emanata una legge che obbligava lo sgombero di un certo numero di centri abitati pericolosi, tra cui proprio Calcata. Lo Stato si impegnò a contribuire alla realizzazione di un insediamento sostitutivo e più sicuro che oggi è posto due km più a valle: Calcata nuova.

Ma il borgo medievale, vuoi per la straordinaria bellezza, vuoi per affetto, non è mai stato del tutto abbandonato. Il suo fascino non ha lasciato indifferenti i tanti artisti che ora la abitano, e che espongono il frutto del loro genio nelle tante botteghe che si susseguono tra i vicoli. Molti di questi sono stranieri: belgi, olandesi, americani ai quali si sono aggiunti gli hippies che abitano ancora le grotte scavate nel tufo della roccia su cui si erge il paese.
Tra gli spazi espositivi c’è anche l’Opera Bosco Museo di Arte nella Natura, un museo-laboratorio all’aperto di arte contemporanea. Si estende su due ettari di bosco nella gola della Valle del Treja e consiste in un percorso di opere d’arte realizzate con i materiali grezzi del bosco.

Una signora dai capelli grigi che piazza la sua sedia in mezzo alla strada principale, quella di fronte alla chiesa, e dipinge oggettini che sembrano amuleti. In quella piazza si raccontano vecchie storie forse mai accadute. Storie di streghe che abitavano il borgo e di antichi rituali, leggende che esistono fin dalla notte dei tempi e che restano sospese tra il sacro e il profano. Una di queste, la più suggestiva, è quella che vede protagonista l’unico pezzo della carne del Cristo rimasto sulla Terra: “Il santo prepuzio”.
Secondo la leggenda vi arrivò per mano di un ladro. Un soldato lanzichenecco che ne entrò in possesso durante il Sacco di Roma del 1527. Era il frutto del saccheggio del Sancta Sanctorum di San Giovanni in Laterano. Arrestato a Calcata nel 1557, venne sbattuto in cella e nascose la reliquia in una piccola nicchia scavata nei pressi della porta di accesso al borgo. Gli abitanti del comune laziale si insospettirono dal momento che nessun animale volle più varcare quella soglia. Buoi, pecore e asini si inginocchiavano davanti alla porta e non c’era verso di farli proseguire. Solo dopo diversi “rifiuti” fu scavata una buca in corrispondenza dello strano comportamento degli animali, e fu così ritrovato il cofanetto. Del lanzichenecco, invece, non si conosce la fine.

Da quel momento a Calcata nacque una venerazione per la reliquia e veniva concessa un’indulgenza di dieci anni ai pellegrini venuti in visita. La città per le tante particolarità ha sempre attirato l’interesse, divenendo spesso set cinematografico di film italiani e stranieri: dal famoso Amici miei al video Una storia sbagliata di Fabrizio De André, fino a La mazzetta del ’78 con Tognazzi e Manfredi e, tra le realizzazioni più recenti, alcune scene de Il tredicesimo apostolo.

Eleonora Arcese

Redazione

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