Fotogrammi e legalità: ricordando Giovanni Falcone e tutte le vittime di mafia

di Michela Conoscitore, in Cinema, del 23 Mag 2015, 09:30

Quella mafia che essenzialmente, a pensarci bene, non è altro che espressione di un bisogno di ordine e quindi di Stato.

Cose di Cosa Nostra, Giovanni Falcone e Marcelle Padovani

23 maggio 1992: alle ore 17.56, l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia di Monte Erice registra un evento sismico in provincia di Palermo. L’epicentro è tra Isola delle Femmine e Capaci”. Inizia così il documentario Uomini soli di Paolo Santolini, scritto con il giornalista de La Repubblica, Attilio Bolzoni che, come cronista de L’Ora, seguì la stagione delle morti eccellenti e delle stragi, vivendo a stretto contatto con gli uomini delle scorte ai giudici Falcone e Borsellino, e intervistando quei protagonisti che oggi, per la maggior parte di loro almeno, affidano le proprie parole ai ricordi di chi li ha conosciuti. Bolzoni accompagna lo spettatore in un tour che tocca ogni lapide di quella città, che tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Novanta, fu trasformata in un mattatoio. Girato in occasione del ventennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio, il documentario parla con i sopravvissuti, si concentra sui loro ricordi e documenta ciò che è successo dopo i tragici fatti del 1992. I protagonisti del documentario erano uomini soli: Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati abbandonati, lasciati vulnerabili a combattere una guerra con le sole armi in loro possesso: verità e giustizia. Come racconta, nel documentario, Francesco Accordino ex capo della sezione omicidi della Squadra Mobile di Palermo: “Contro Cosa Nostra non c’era la Polizia, le istituzioni. C’erano delle persone, era una lotta alla mafia personalizzata”. “Chiunque fa quest’attività ha la capacità di scegliere fra la paura e la vigliaccheria”, racconta in una intervista pochi giorni prima della strage di Capaci, Antonio Montinaro, agente di scorta del giudice Falcone, “la paura è un qualcosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È un sentimento umano, è la vigliaccheria che non si capisce, e non deve rientrare nell’ottica umana. Io come tutti gli uomini ho paura, ma non sono vigliacco. Me ne sarei già andato”. Uomini soli, ma con ideali. Ricchi di speranza, che quella terra potesse cambiare. Che ci siano riusciti dopo la loro morte, questa è colpa dello Stato.

Minchia, ma quanto ce ne misero? La bomba atomica ci misero?”. In un altro paese, documentario di Marco Turco del 2005, dalle immagini annebbiate e livide di ciò che soccorritori e giornalisti, pochi, trovarono a Capaci passa ad indagare, insieme ad Alexander Stille e della fotografa Letizia Battaglia i rapporti tra mafia e politica, e le vicende che hanno insanguinato Palermo e tutta la Sicilia. Giulio Andreotti, Salvo Lima, i fratelli Salvo, poi Berlusconi e Dell’Utri, sono solo alcuni dei nomi che in un pantano di potere e violenza hanno governato e ucciso nell’isola, a partire dalla fine degli anni Settanta. Stille, autore del libro Excellent Cadavers: The Mafia And The Death Of The First Italian Republic, di cui il documentario è la versione televisiva con un possente lavoro di documentazione alle spalle, snocciola uno ad uno i nomi di quei cadaveri eccellenti: Boris Giuliano, Emanuele Basile, il procuratore Gaetano Costa, il giudice Rocco Chinnici, Ninni Cassarà e Beppe Montana fino a Falcone e Borsellino. Il documentario alterna passato e presente, i protagonisti di allora che parlano da filmati d’archivio, e quelli di oggi come Guarnotta, Di Lello, Ayala e il giornalista Francesco La Licata, storica penna dell’antimafia. Questo filo che lega il passato al presente serve a ricordare che la mafia non è stata sconfitta, esiste ancora ed è forte. Sono cambiati i vertici del potere, sono cambiati i modi, sono cambiati gli interlocutori. C’è ancora, e trae la sua origine sempre dall’assenza dello Stato. Se durante la prima Repubblica ne negava l’esistenza, oggi la sottovaluta. Il leitmotiv di In un altro paese a Uomini soli, è sempre la solitudine di questi uomini, che venivano spogliati del loro potere istituzionale, anche se formalmente ne erano ancora detentori, delegittimati e mandati allo sbaraglio, come il generale Dalla Chiesa, condottiero di una fantomatica guerra alla mafia. In un altro paese, quelli stessi uomini oggi sarebbero ancora vivi.

Sull’onda dell’emozione, gli anni successivi al 1992, al cinema e in televisione si è assistito ad un vero e proprio boom di film e serie TV sulla mafia e sui suoi protagonisti, chi più e chi meno di pregio. L’anno scorso Pierferancesco Dliberto, nome d’arte Pif, ex Iena del programma Mediaset, come esordio alla regia sceglie di parlare di quegli anni. Da un’ottica diversa, però: ne narra le vicende non da chi ha combattuto o alimentato Cosa Nostra, ma di chi l’ha subita. Il protagonista de La mafia uccide solo d’estate è il piccolo Arturo. Il bambino vive, con candore, il periodo degli omicidi e delle stragi di mafia, incontrando per caso gli uomini che quel candore volevano mantenerlo intatto, nei bimbi palermitani. Conosce il giudice Rocco Chinnici, a cui confesserà per primo l’affetto per Flora, sua amica di classe, e si appassiona al giornalismo, quello vero e genuino, come gli insegna l’amico Francesco (Claudio Gioè), giornalista scomodo confinato allo sport. Diventato adulto Arturo, ormai, sa riconoscere i buoni e i cattivi, e il “gioco” a cui i mafiosi stanno costringendo ad assistere i palermitani e la nazione, lo ha stancato. L’autore, anche nelle vesti di protagonista, ha pensato di raccontare il periodo nero della lotta alla mafia dal punto di vista di un bambino palermitano, che ancora deve imparare la crudeltà del mondo dei grandi. Originale e toccante, l’ingenuità che accarezza lo spettatore grazie ai piccoli protagonisti, bravissimi, regala riflessioni e risate. Divenuti adulti, Flora (Cristiana Capotondi) e Arturo diventano depositari di una cultura antimafia, che si oppone a quella omertosa e connivente dei loro genitori. Premiato ai Nastri d’Argento e ai David di Donatello, La mafia uccide solo d’estate è uno sguardo altro sulla mafia e sui mafiosi, che ironizza (amaramente) su quegli uomini d’onore, beccati nel loro (comico) quotidiano. Per non dimenticare, mai.

Michela Conoscitore

Pugliese, classe 1985. Laureata in Lettere Moderne, con un master in giornalismo cartaceo e radiotelevisivo. Ha collaborato, nel settore Cultura e Società, in una redazione giornalistica della provincia di Foggia. Da sempre, esprime l’amore per la scrittura, raccontando storie e descrivendo avvenimenti. La semplicità è il suo principale obiettivo, che cerca di perseguire affinché, ciò che scrive, arrivi a tutti. Grande appassionata di cinema e serie TV, da due anni posta recensioni sul suo blog, Incursioni Cinemaniache. Ma non si ferma qui, perché il vero giornalista è un curioso a tutto tondo.