Di cosa parliamo quando parliamo di fiere del libro

Di cosa parliamo, quando parliamo di fiere del libro? Cosa le rende affascinanti agli occhi di chi non c’è mai stato, e cosa le rende balorde agli occhi di chi ci va abitualmente?

Leviamoci subito di torno i pregi, ché sono poco divertenti: le fiere del libro permettono agli editori di qualità, piccoli e medi, di farsi conoscere, perché il 98,2% della distribuzione nelle librerie è in mano a tre, quattro grandi gruppi editoriali (la statistica è una mia spannometrica ipotesi come i cartelli di Giovanni Floris, ma non credo di andarci tanto distante). Eppure, quello che è il pregio principale, diventa anche il difetto principale, perché l’offrire un palcoscenico a tutti, come è noto, attira i matti: per chi non lo sapesse, in Italia ci sono circa 5.000 case editrici, e considerato che mediamente una persona normale, non del settore, ne conosce, a essere larghi di manica, una ventina, ecco che esistono 4.980 editori sui cui campeggia un grande punto di domanda. Al quale rispondo subito io: il 95%, cioè 4.731, sono editori fuori di melone.

Andate a una fiera del libro (che poi già il nome “fiera” dovrebbe evocarvi, giustamente, donne barbute e nani salterini): troverete questi 4.731 editori i quali distendono sui tavoli i propri libri che, diciamocelo in tutta sincerità, non comprerà mai nessuno: nemmeno se una tempesta di squali inghiottisse l’intero mondo conosciuto ad eccezione di quei tavoli, un lettore superstite avrebbe l’ardire di leggere quei libri, piuttosto fisserebbe il muro fino a morire di inedia, e ne troverebbe maggior godimento.

Per questi 4.731 editori non è questione di mercato chiuso o di dominio delle major, è questione che i loro libri fanno cagare. Mi spiace, volevo usare un termine più sfumato, ma non mi è proprio venuto in mente, se uno si chiama Gianni non è che lo puoi chiamare Renato.

Sputtanatissimi libri fantasy, goffe imitazioni di Geronimo Stilton (che già è goffo di suo), poesie dalle copertine accecanti, antologie di black metal, retrospettive sul giovane Gramsci, il tutto mal impaginato, con errori di grafica e di stampa e magari proveniente da un paese del Molise, con una rete distributiva composta da asinelli. Dio mio, perché? Lo ripeto: perché? Lo ripeto ancora: perché? Io sono uno che parla da solo e si sa dare molte risposte, ma a questa domanda, ogni volta che torno da una fiera del libro, non riesco mai a rispondere.

E i matti attirano i matti, perché il degno target di questi 4.731 editori sono i 57.765.468 italiani che si reputano scrittori sol perché hanno scritto un libro nella loro cameretta, e allora si aggirano affascinati e affascinanti pensando di poter strappare un contratto editoriale milionario a una casa editrice che ha sede a Trepalle in provincia di Sondrio.

Per quel che mi riguarda, la cosa più importante che ho imparato, sfogliando un libro all’ultima fiera a cui sono stato, è come si guarisce dall’artrite e dal lupus. Che comunque non è poco, a ben vedere.