Con le restrizioni l’Italia ammalata riscopre se stessa

Lo scoppio della pandemia ha stravolto – ormai da qualche settimana – le nostre abitudini consolidate, obbligandoci a rimanere in casa. Molti sono i disagi che stiamo avvertendo, a partire dalle numerose restrizioni che si scontrano con il nostro diritto alla libertà, a cui siamo costretti a rinunciare per favorire il contenimento del virus. La natura, in questo caso, si è rivelata matrigna nei confronti dell’uomo, ma ̶ tra gli effetti collaterali ̶ ci ha permesso di riscoprire la nostra indole benigna e nobile, insieme al forte senso di appartenenza a un’unica identità, quella italiana.

Il popolo italiano ̶ in un momento di crisi sanitaria, economica e sociale – ha ritrovato lo spirito identitario, spentosi con il passar del tempo o forse troppo trascurato. Le nostre radici, in questa fase, sembrano germogliare dando vita a splendidi frutti, come la solidarietà nei confronti del prossimo o l’animo patriottico che spinge a decorare i nostri balconi di tricolore e a cantare all’unisono l’inno nazionale.

Il sostegno si manifesta in ogni piccolo gesto che associazioni, cittadini, commessi, tassisti compiono per donare un sorriso gentile a tutte le persone malate o indigenti. Le risposte più forti arrivano soprattutto da medici e infermieri, accorsi da ogni parte d’Italia nei lunghi corridoi degli ospedali per ribaltare il destino del nostro paese.

E allora risuonano quasi profetici i versi di un grande intellettuale dell’Ottocento, Giacomo Leopardi, il quale scrisse ne La ginestra: «Così fatti pensieri/quando fien, come fur, palesi al volgo/ e quell’horror che primo/contra l’empia natura strinse i mortali in social catena». Ed ecco, dinanzi alle forze avverse della natura, quella «social catena» con il suo senso profondo della collettività, valore fondativo del nostro Paese.

Anche la cultura ci sta rendendo consapevoli di una possibile rinascita, con la scoperta del nostro patrimonio artistico, attraverso la creazione di visite virtuali all’interno di musei, biblioteche o parchi artistici italiani, finora destinati all’oblio.

Oggi, a luci spente, crediamo fortemente che l’Italia ̶ già culla del Rinascimento ̶ possa rinascere un’ennesima volta, come sostiene Giulio Tremonti: «Perché, come è stato nel Rinascimento, non siamo davanti alla fine della storia, ma davanti al principio possibile di una nuova storia» (Rinascimento, 2015).

Ma come si scrive una «nuova storia»? Naturaliter partendo dall’inizio, ovvero dalle nostre origini, dalla nostra tradizione, per attingere agli ideali del passato e conservarli nel presente. Siamo italiani da sempre, ma inconsapevoli.

Siamo italiani quando ci abbracciamo, credenti e non credenti, di fronte all’immagine e all’intensità delle parole di un Papa che ̶ come un pellegrino solitario in cerca della via giusta ̶ ci posa nelle mani di Dio. Quindi ̶ parafrasando Vittorio Sgarbi ̶ riconosciamo nella nostra civiltà che i valori del Cristianesimo ci appartengono e sono la più alta manifestazione storica e culturale, di cui siamo degni eredi.

«Per chi ha fede ̶ scrive il presidente dell’Aspen Institute Italia ̶ l’ora più buia è quella prossima all’alba». Ma l’alba, per quanto prossima, non deve farci dimenticare di essere figli dell’Italia prima ancora che europei, soprattutto dopo l’evidente fallimento politico dell’Unione Europea, rivelatasi ostile e inadeguata alle nostre attuali esigenze.

Siamo italiani perché il nostro Made in Italy, costantemente penalizzato, rappresenta un’eccellenza e una missione, dal settore ingegneristico a quello della moda e della cosmesi. Oggi i grandi marchi sono chiamati a produrre mascherine, camici, gel igienizzanti, respiratori, contribuendo così al successo collettivo di questo Paese, che tenta di risollevarsi con i propri mezzi.

Ma si può sperare in una rinascita? Forse sì. Potremmo riuscirci soltanto dopo aver compreso che i colori della nostra bandiera ̶ che oggi sventoliamo orgogliosi ̶ non colorano solo i balconi, ma costituiscono i nostri principi di identità, ovvero fede, passione e speranza. All’imprevedibilità della natura non ci resta che richiamare alla memoria le parole di G. Tremonti: «Quello che serve oggi è un sogno: qualcosa di più, di diverso e più grande» (Rinascimento, 2015). Sogniamo più in grande, ma sogniamo da italiani.