Un Oscar per “Ida”, ritratto di donna in bianco e nero

Un ritratto della psicologia femminile. Da contemplare in religioso silenzio. Già vincitore del premio Bafta, Ida di Pawel Pawlikowskiha vinto l’Oscar come miglior film straniero. Conosciuto in Gran Bretagna per My summer of love e Last resort, il regista polacco naturalizzato inglese, ha battuto così l’estone Tangerine, il russo Leviathan vincitore del Golden Globe 2015, Storie pazzesche in gara per l’Argentina e prodotto da Pedro Almodóvar e Timbuktu del mauritano Abderrahmane Sissako, che invece ha trionfato ai César. “L’Europa porta oltreoceano l’immensa ricchezza e capacità della sua industria cinematografica, contribuendo a trasmettere i valori e l’identità comune dell’Europa“, così il vicepresidente del Parlamento Antonio Tajani, responsabile per l’assegnazione del Premio Lux dello scorso dicembre, ha commentato la vittoria del film polacco.

Ida sfiora, poi si immerge in un dramma di cui ancora oggi rimangono tragici retaggi: l’Olocausto. Polonia, 1962: Anna è una giovane orfana cresciuta tra le mura del convento dove sta per farsi suora. Poco prima di prendere i voti apprende di avere una parente ancora in vita, Wanda, la sorella di sua madre. L’incontro tra le due donne segna l’inizio di un viaggio alla scoperta l’una dell’altra, ma anche dei segreti del loro passato. Anna scopre infatti di essere ebrea: il suo vero nome è Ida, e la rivelazione sulle sue origini la spinge a cercare le proprie radici e ad affrontare la verità sulla sua famiglia, insieme alla zia. All’apparenza diversissime, Ida e Wanda impareranno a conoscersi e forse a comprendersi: alla fine del viaggio, Ida si troverà a scegliere tra la religione che l’ha salvata durante l’occupazione nazista e la sua ritrovata identità nel mondo al di fuori del convento.

Sguardi e silenzi in bianco e nero fanno di Ida, un dramma intimo di una donna dal forte dissidio interiore. Fede e vita laica sono due corde vibranti in una continua tensione che esplode nello sguardo di serena tristezza di Ida. Non una lezione morale però, quella di Pawlikowski, ma un’esplorazione della psiche femminile che si abbandona al lirismo e alla seduzione delle immagini. “Abbiamo fatto un film in bianco e nero, sul bisogno di silenzio, di ritiro dal mondo e di contemplazione, e ora eccoci qui, nel frastuono, al centro dell’attenzione mondiale. E’ fantastico, la vita è piena di sorprese!”, così il regista polacco dopo aver ritirato l’Academy Award.

La squallida campagna polacca, tra il cielo grigio e i secchi rami, è la cornice di un quadro dai toni cupi e i sentimenti forti. A un’eccellente composizione delle inquadrature risponde una sceneggiatura misurata, essenziale che lascia in primo piano la recitazione delle due interpreti femminili, Agata Kulesza e Agata Trzebuchowska. Essere ebrei o cattolici, religiosi o civili, casti o peccaminosi: Ida è un film di conflitti che si risolvono in un’eterna lotta tra bene e male.

Redazione

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