Scrittori maledetti. La furia omicida di Paul Verlaine

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Se Emilio Salgari usò la sua scrittura come mezzo di evasione da una vita difficile, Paul Verlaine contribuì ad arricchire la letteratura mondiale con un’opera che divenne, col tempo, un caposaldo. Peccato che non fosse sua.

Verlaine, piccolo borghese, mediocre negli studi e con un lavoro semplice, provava una fortissima attrazione per la letteratura, a cui cercò di avvicinarsi, come era di consuetudine all’epoca, frequentando la società intellettuale dei cafè letterari, e, poesia dopo poesia, divenne l’emblema del poeta maledetto. E maledetto lo fu per davvero, non solo per rientrare in una “moda” o in una corrente passeggera che definiva lo stile dei poeti della seconda metà dell’Ottocento: “In una casa di Batignolles, presso un certo M. de Ricard si è abbattuta tutta la banda dell’arte, la coda di Baudelaire e di Banville, gente turbata, intrisa di affettazione e d’oppio, quasi inquietante, d’aspetto smorto”, così descrivono i fratelli de Goncourt nel Journal il circolo politico e letterario d’ispirazione baudelariana fondato dal giovane poeta Louis-Xavier de Ricard, di cui Verlaine faceva parte.

Letteratura, poesia e appagamento intellettuale fanno da sfondo alla vita di Verlaine; ma l’idillio non è destinato a durare e, anzi, proprio il poeta fu la causa di molti mali subiti dai suoi cari. Nel corso della sua vita si infatuò di due giovani uomini: Lucien Létinois, morto di tifo nell’83 − fatto che provocherà grande dolore a Verlaine, il quale cercherà di consolarsi con l’alcool − e il dicassettenne Arthur Rimbaud, per cui lasciò la moglie e un figlio appena nato, nel 1871.

La loro fu una relazione tormentata, fatta di vagabondaggi e costanti discussioni: è nel ’73 che Verlaine, ubriaco, spara due colpi di pistola a Rimbaud, il quale non riportò che una ferita al polso. Ma un grande turbamento lo accompagnò per i mesi a venire e nell’estate dello stesso anno finì la stesura del suo capolavoro Una stagione all’inferno, così descritto dallo stesso Verlaine in Confessions: “una specie di prodigiosa autobiografia psicologica, scritta in quella prosa di diamante che è una sua esclusiva caratteristica.

Dal giorno della sparatoria, Verlaine sarà circondato da un’ombra e l’alcolismo lo porterà a strangolare la sua stessa madre, senza successo.

Il mito del poeta maledetto circonda la figura di un uomo, di un artista, che si autoannienta non in nome dell’arte, bensì per il piacere di ciò che è decadente e dissacrante. L’abuso di alcool e una vita di sregolatezze portò Verlaine a comporre la sua opera più emblematica, I poeti maledetti, che raccoglie gli scritti di alcuni dei poeti “assoluti per l’immaginazione, assoluti nell’espressione” del tempo, tra cui Una stagione all’inferno di Rimbaud.