Ricordo di Indro Montanelli

il 22 aprile del 1909 nasceva a Fucecchio, nel Valdarno inferiore, Indro Montanelli, probabilmente il giornalista italiano più noto del Novecento, scomparso nel luglio 2001 all’età di novantadue anni. Centonove anni avrebbe quindi avuto, oggi, questo Vasari del giornalismo, che in tutta la sua lunga vita raccontò l’Italia e i suoi inquilini con piglio da scrittore (celeberrimi i suoi Incontri e gli affreschi di personaggi quali Cesare, Dante, Cola di Rienzo, Michelangelo, Garibaldi o Giolitti, apparsi nei volumi della sua seguitissima Storia d’Italia); con Montanelli si poteva dissentire, non però senza riconoscere l’eleganza della sua penna, che era poi la stessa eleganza dell’Uomo. E accingendoci a tratteggiarne i cenni biografici non possiamo che farlo serbando la massima umiltà, non foss’altro perché dipingere il personaggio meglio di quanto sia già stato fatto (da lui medesimo, prima di tutto) è da considerarsi impresa assai difficile.
Nato dunque centonove anni or sono da Sestilio, preside di liceo, e Maddalena Doddoli (dai quali ereditò sobrietà e longevità), Montanelli frequentò il liceo classico con profitto, ancorché il profitto lo si vide più che altro in quelle poche materie che veramente lo entusiasmavano, tra cui spiccava la storia. In seguito si laureò sia in legge che in scienze politiche. Giovanissimo aderì al fascismo, partecipò con entusiasmo all’avventura africana (dal cui empito patriottico non si sentiva affatto estraneo) e nel continente nero si prese per moglie una indigena di dodici anni che gli procurò diverse critiche in Italia. Da quell’esperienza nacque il primo libro che gli procurò una

qualche notorietà, Il XX battaglione eritreo (1936). Terminata quell’avventura, non fece in tempo a rimpatriare che dovette partire alla volta della Spagna per raccontare la guerra civile. Fu in quest’occasione che ebbe i primi decisi contrasti col regime: Montanelli, che per l’asservimento al padrone non ebbe mai particolare inclinazione, scrisse alcuni articoli che non piacquero ai vertici fascisti, i quali immediatamente gli revocarono la tessera del Pnf radiandolo dall’albo dei giornalisti. Per proteggerlo, Giuseppe Bottai lo spedì in Estonia, dove per qualche tempo avrebbe fatto il lettore d’italiano all’Università di Tallin. Dopo l’8 settembre venne arrestato con l’accusa di aver cospirato contro i tedeschi, quindi rinchiuso prima a Gallarate e poi a San Vittore, dove conobbe nientepopodimeno che Mike Bongiorno, la cui unica colpa era quella di avere un passaporto americano. In seguito Montanelli riuscì a evadere grazie alle insistenze della madre presso il Vaticano e all’intercedere dell’arcivescovo di Milano Idelfonso Schuster. Terminata la guerra, lavorerà al Corriere della sera per trent’anni, sino a quando, insieme a un nutrito gruppo di seguaci, fonderà quel Giornale Nuovo (1974) di cui sarà il principale ispiratore per tutti i vent’anni della sua direzione. Anticomunista deciso (“mi chiamavano l’anticomunista viscerale”, dirà in seguito), nel 1977, in pieni anni di piombo, Montanelli venne colpito alle gambe dalle pallottole delle Brigate Rosse. Nel 1994, entrato in conflitto con il suo editore Silvio Berlusconi (“ho conosciuto due Berlusconi, completamente opposti”, racconterà riferendosi a quello che fu “il generoso editore” prima, “il capo politico” poi), fu costretto a lasciare il giornale che aveva fondato per (a ottantacinque anni) fondarne un altro, quella Voce che non supererà l’anno di vita a causa di inestinguibili problemi finanziari. A questo punto il celebrato ritorno al Corriere della sera, dove terminerà i suoi giorni curando la rubrica intitolata La Stanza di Montanelli, affrontando insieme ai suoi lettori temi d’attualità culturale e politica ma anche il tema della morte, il tema del lascito degli uomini su questa terra (oltre anticomunista viscerale era pure un pessimista viscerale) o delle condizioni della vecchiaia (“ormai non ho più nemici!”, lamenterà!).
Di lui ci restano una cinquantina di libri e migliaia di articoli, ma soprattutto l’insegnamento di un uomo che ha fatto scuola senza lasciarci un vero erede. I suoi imitatori abbonderanno ancora per chissà quanto tempo, privi tuttavia della sua eleganza e del talento che si e portato in quella modesta cappella di Fucecchio dove riposa, con discrezione, da oltre 17 anni.

Marco Testa

Cresciuto nell’isola di Sant’Antioco, ha compiuto studi storici e archivistici parallelamente a quelli musicali. Già collaboratore della cattedra di Bibliografia musicale del Conservatorio di Torino, docente presso l’Accademia Corale “Stefano Tempia”, collabora con festival e istituti di ricerca. Autore di saggi e articoli, lavora presso l’Archivio di Stato di Torino ed è critico musicale di “Musica” e de “Il Corriere Musicale”.