Quanto tempo serve per visitare (bene) il Museo del Louvre? Almeno cinque ore

Un’ora e mezza è la durata media di una visita veloce al Museo del Louvre, circa cinque ore quella più meticolosa. A rivelarlo sono i risultati dell’esperimento “Louvre Museum’s Dna”, realizzato all’interno del Louvre da Mit Senseable City Lab, un gruppo internazionale di ricercatori che, servendosi di tecnologie innovative, hanno monitorato i segnali Bluetooth e Wi-fi dei cellulari per mappare il traffico dei visitatori all’interno del museo.

Il progetto, diretto dai professori Carlo Ratti e Yuji Yoshimura e pubblicato su diverse riviste scientifiche, ha come scopo analizzare il flusso dei visitatori, soffermandosi in particolare sui percorsi compiuti, sul tempo di permanenza all’interno di una sala e sul tempo di osservazione di una singola opera.

Sette sono i sensori collocati in punti strategici del museo pronti a intercettare i dispositivi presenti nella stanza e a seguirne gli spostamenti fino all’uscita dall’area di copertura. Il sistema registra in poche parole i dati di entrata e di uscita (check-in e check-out) e ricostruisce i percorsi e le soste dei visitatori senza violarne la privacy.

Il primo sensore è situato nel punto di maggior affluenza, lungo il corridoio che dall’ingresso del Louvre conduce alla Venere di Milo; gli altri sono rispettivamente nella Galerie Daru, che ospita il Gladiatore Borghese, nella stanza della Venere di Milo, nella sala delle Cariatidi, che ospita le sculture greche, nella sala dei Dipinti Italiani tra il tredicesimo e il quindicesimo secolo, in prossimità della Nike di Samotracia e nei pressi della Salle de Verres che custodisce i bronzi.

Dall’indagine è emerso che la maggioranza dei visitatori preferisce vagare e passeggiare a lungo nel museo (circa cinque ore), mentre solo una piccola percentuale attraversa velocemente i corridoi del Louvre concludendo la visita in meno di due ore.
Ciò che sorprende dai dati raccolti è che l’itinerario percorso è sempre lo stesso e le opere che attraggono più di tutte sono indiscussamente la Gioconda e la Nike di Samotracia.
L’esperimento ha inoltre evidenziato un comportamento sociale comune ai visitatori, ossia la predilezione per le sale più affollata: maggiore è la densità di persone all’interno di una sala e maggiore è l’attrazione che li porta a superare velocemente gli spazi più vuoti.

Il visitatore medio, inoltre, di fronte alla vastità di opere d’arte presenti in uno spazio fisico molto grande elabora dei percorsi selettivi per evitare di vagabondare senza un fil rouge. In sostanza rinuncia alla visita completa in favore di iter programmati precedentemente.

L’analisi dei segnali dei dispositivi elettronici risponde alla necessità di studiare il comportamento umano e di conoscere meglio lo spazio in cui ci muoviamo, nel museo e nella città. Già a metà del Ventesimo secolo lo studioso americano William H. Whyte aveva analizzato il flusso delle persone negli edifici e negli spazi pubblici di New York attraverso alcune videocamere.

L’obiettivo è raccogliere ed elaborare dati in grado di spiegare ed evidenziare i comportamenti umani, le abitudini e le preferenze allo scopo di rafforzare l’idea di un’architettura dinamica e flessibile. Per avere uno spazio rispondente alle necessità e alle richieste degli abitanti.

Biancamaria Stanco

Redazione

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