Lo Spazio Spirituale. L’arte come traccia imperitura dell’Uomo

L’unica cosa che resta in concreto, degli uomini, è l’arte. Attorno a questo concetto ruota il saggio scritto da Federica Russo e Fabio Ivan Pigola, che dirottano studi e pensieri su carta ne Lo Spazio Spirituale, edito da Solfanelli. Settanta pagine di scrittura limpida, che si fa densa e gira in tondo senza ingarbugliarsi: un racconto allungato in formato ridotto, un itinerario che non stanca, anzi, dona frammenti preziosi di epoche andate, perché il miglior modo di narrare una storia è porgerla in dono. È una malia che attraverso il passato conduce il presente a un passo dal futuro, e viceversa. A seconda dei periodi e del culto che più li influenza, cambiano i riti e gli slanci interiori degli uomini verso l’ignoto.

In materia di esistenza e di scomparsa, il comportamento si misura con l’abilità di uno o di molti di far fronte all’eternità con le poche cose che restano.

Ci sono fatti orfani di una spiegazione certa: la morte sopra ogni cosa, come fenomeno che supera qualsiasi incognita. In fondo, siamo piccoli esseri che si affaccendano intorno a un punto, e lo abitano, lo spezzano, lo rendono confortevole e sottomesso a un bisogno senza requie. Tutto è spinto in fuori: l’ostentazione, il buon auspicio, il male esposto per una ricompensa che è pietà, e non risana.

spazio

Chi muore dilata spazi che non sono più quelli concreti e accoglienti del corpo ma si fanno scuri, senza gravità: fluttuano tra misteri, atti di fede e speranze accorate capaci di dare un verso a direzioni confuse. Vivere, nonostante tutto; credere a piccoli atti di volontà, a una redenzione, un amore: scelte che ricalcano i segni di un mondo crudo e incantevole, disarmante dinanzi al suo stesso prodigio. Per questo, il più delle volte diventano quasi un tabù. E dei nostri antenati – gli Etruschi su tutti – ci sono spesso rimasti solo i monumenti, le tombe, i documenti legati al loro trapasso.

L’incertezza del «dopo» assolve solo chi smette d’esistere. Chi resta ha il conforto del ricordo, che riempie il vuoto facendo appello a quanto rimane: mausolei, pitture, ninnoli, vestiti, tesori, oggetti a riempire una tomba come fosse un luogo aperto, un’abitazione, simboli della speranza e promessa contro il nulla.

Variano le usanze, e varia lo spazio spirituale che gli uomini dedicano e si dedicano a vicenda. Il libro indaga come quello spazio sia ora una risorsa accorata, salvifica, negata o svilita, secondo l’inclinazione del popolo e dell’epoca. E non esiste guida ai meandri di un mistero impegnativo da decifrare.

Lo spazio spirituale è un saggio che non offre risposte al vagare di nessuno perché non le cerca, però offre un quadro completo – storico, archeologico, sociologico – in un campo dove ancora non ci si era addentrati a fondo. È una lettura di raccoglimento, un turbinìo di riflessioni mosse da un entusiasmo che non cala, che accompagnano disinvolte incertezze e domande a misura d’uomo.

Redazione

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