L’identità sarda: una storia della Sardegna usata a fini politici

Se i propugnatori dell’autodeterminazione vogliono convincerci che una Sardegna indipendente plasmata sul modello di esperienze europee altre sarà la risposta alla crisi economica, infrastrutturale, occupazionale ecc. dell’isola, d’accordo. Il problema è che tutto ciò difficilmente potrà farsi senza la costruzione di un’identità sarda a discapito di quella italiana (come peraltro dichiara e auspica chi queste cose le propugna), costruzione, non forzatura storica o addirittura necessità geografica, com’è stato sostenuto, alla cui realizzazione le resistenze non sembrano essere poche, oltretutto non necessariamente per avversione alla causa sardista in quanto tale, quanto nei confronti di una metodologia della costruzione identitaria espletata con mezzi impropri nel tentativo di forgiare una coscienza collettiva (la narrazione della “nazione sarda”).

La nutrita presenza di sardi dall’identità forte che tuttavia al tempo stesso desiderano esprimere un’italianità altrettanto marcata, non dovrebbe essere ignorata da parte dei sardisti. Ciò lo affermo nel più profondo spirito federalista che mi anima, persuaso dal modello rappresentato da un federalismo che possa al meglio ricollocare e valorizzare le forze dell’isola nella sua più forte specificità tanto culturale-identitaria che socio-politica ed economica, come insegna da ultimo (nell’isola) Leopoldo Ortu, del cui insegnamento potei profittare durante anni ormai lontani. Un federalismo che è veicolo di consolidamento di una realtà storico-identitaria dalla quale non vedo per quale ragione necessaria dovremmo recedere. C’è chi invece desidera costruire un’identità sarda estranea a questo contesto? Bene, ma lo faccia senza forzature storiche, evitando narrazioni storiche cucite su misura per il proposito politico auspicato, ma anzi condannando quel meccanismo di selezione del passato che s’inquadra nel tentativo di far risaltare alcune specificità della storia dell’isola (Nuragici, il Giudicato arborense, la Sarda rivoluzione ecc.) a discapito di altre, come se la vera e più autenticastoria della Sardegna fosse quella e non altra (sic anche il citato Leopoldo Ortu). La congerie di “storici” improvvisati, che tentano di mostrare l’inettitudine e la malafede di chi ci ha governato nei secoli passati in modo che ciò sia funzionale o quantomeno aderente al progetto politico che si vuole portare avanti, non è che la tipica incarnazione del fenomeno: in Sardegna politici e simpatizzanti scrivono e parlano di storia, una storia portata avanti con toni folkloristici e viziata dal proprio orientamento politico (di marca sardista), fatta di semplificazioni e, non ultimo, un vizio antico quanto provinciale: delegare a terzi (su tutti, ai Savoia, relativamente ai quali essi mostrano un pregiudizio e un’impreparazione che fanno sorridere) tutte le attuali criticità. Occorrerebbe, al contrario, sforzarsi di riconoscere la verità storica, per quanto possibile (magari facendo qualche ricognizione diretta d’archivio, condicio sine qua non, ma questo naturalmente costa molta fatica e richiede determinate competenze) per quella che è e non per quella che si vorrebbe che fosse, mettendo da parte idiosincrasie e faziosità preconcette, quantomeno se non si vuole fare storia partigiana e quindi storia politica, ricorrendo a terminologie sprezzanti e tendenziose che non aiutano a capire come i fatti sono andati, dai «Il re Vittorio Amedeo III era un tonto» (sic tale O. Onnis) e altre simili (e numerose) considerazioni dilettantesche, al «godereccio degustatore di maialetti» riferito a Carlo Felice (F. Casula, da non confondersi col ben più noto ex cattedratico Francesco Cesare). Toni questi che non possono liquidarsi come semplice fatto di colore, né sono giustificabili sul terreno del fare divulgazione storica, se ciò predica tesi di bandiera e giudizi morali che, ripeto, ben poco hanno a che fare con la ricerca storica.

Nell’agile libretto intitolato L’indipendenza della Sardegna, di Paolo Maninchedda e Franciscu Sedda, la coscienza nazionale sarda troverà invece fondamento «nell’attualità come fatto civile e politico. Tale volontà non ha in alcun modo l’obbligo di dimostrare di essere l’effetto di una necessità storica per troppi secoli impedita dal destino e da progetti ostili e concorrenti. Chiedere ai sardi di dimostrare storicamente di essere una nazione è come chiedere di dimostrare che un fatto culturale è invece un fatto naturale». Un ben altro presupposto. Proprio Sedda, intervistato qualche anno or sono da una rete sarda, ha affermato: «L’identità è davanti a noi, è in ciò che scegliamo di portarci appresso sulla base dell’idea del mondo che vogliamo».

Come qualsiasi identità, l’identità della nazione sarda si può costruire. Ci si provi senza cercare di semplificare o addirittura falsificare le carte.

Marco Testa

Cresciuto nell’isola di Sant’Antioco, ha compiuto studi storici e archivistici parallelamente a quelli musicali. Già collaboratore della cattedra di Bibliografia musicale del Conservatorio di Torino e docente presso l’Accademia Corale “Stefano Tempia”, collabora con festival e istituti di ricerca. Autore di saggi e articoli, lavora presso l’Archivio di Stato di Torino ed è critico musicale di “Musica – rivista di cultura musicale e discografica” e de “Il Corriere Musicale”.