L’Etica e l’etichetta

di Marco Proietti Mancini, in Blog, del 27 Nov 2014, 14:41

Esisteva un tempo – mi dicono esista ancora, ma io non me ne accorgo – una cosa chiamata “netiquette”; io che sono un inguaribile romantico e mi sono formato sulle letture di scrittori classici, preferisco chiamarla semplicemente “etichetta”.

Che non è da confondersi con ipocrisia, con perbenismo o morale, non è da sovrapporre a censura o a nessuna forma di limitazione del diritto di ognuno di esprimere la sua opinione, liberamente. Era – dovrebbe essere ancora – un insieme di regole di buon comportamento da tenere in rete, nel confronto, nell’espressione.

Adesso, senza neanche la nobiltà di un pubblico funerale o di un necrologio, l’etichetta in rete è morta.

Volete sapere, cosa abbiamo ora? La differenza tra mondo reale e rete è che se io attacco un cartello per strada o alla radio, in televisione, o anche semplicemente su una pubblica piazza in presenza di testimoni esprimo – sia pure sotto forma di mia opinione – giudizi caustici e pesanti, in cui ironizzo pesantemente su qualcuno, sovrapponendo il giudizio critico sulla sua opera a quello sulla persona, se io affermo cose spacciandole per verità suffragate da prove, io di queste cose ne posso – ne dovrei, ma non sempre succede – rispondere, legalmente, giuridicamente.

Se qualcuno poi propone una qualsiasi forma di regolamentazione della rete – e con regolamentazione non intendo controllo preventivo, ma semplicemente definizione di un sistema di regole e responsabilità per quel che si scrive e si pubblica in rete, immediatamente scatta l’evocazione del bavaglio della censura.

Quindi, facciamoci a capire; se io attacco un cartello per strada in cui affermo “Smettila di fare la chemio, vieni da me e ti curerò il cancro con il bicarbonato” sono brutto e cattivo e sanzionabile, se la stessa cosa la immetto nella rete, la divulgo e la diffondo con una viralità che nessuna altra forma di comunicazione riesce ad avere, allora la cosa diventa lecita?

Se io definisco nel mio spazio privato – che tutto è meno che privato, la rete è l’antitesi del privato – “il male” qualcuno, solo per averlo fatto in rete non sono responsabile della mia affermazione? Avete un’idea di cosa significhi per una persona (non vediamo tutti come personaggi, anche i tanto vituperati Moccia, Volo e similia, sono persone) sentirsi apostrofare come “Il male”? Cosa e quali colpe possono giustificare critiche e giudizi come questo?

Si diceva una volta che il successo si paga. Vero, sempre stato così. Ma l’avvento della rete ha provocato un’elevazione a potenza del metodo e del sistema di pagamento, una estensione piramidale che porta alla ricerca del consenso attraverso l’espressione di giudizi sempre più feroci, metodi comunicativi sempre più selvaggi e incontrollati. La cosa più triste sapete qual è? Che in questo – tristemente – il gusto alla cattiveria non si è evoluto dal tempo degli spettacoli gladiatori ad oggi.

Ho effettuato uno ricerca andando a studiare nella rete un discreto numero di blog e forum che trattano dei temi più disparati, dalla fotografia alla medicina, alla letteratura, alla musica; appositamente ho evitato di osservare blog e forum politici, pensando che avrebbero fuorviato il campione. Ebbene, i post di maggior successo, visibilità e frequentazione sono quelli in cui si insulta, si critica, si stronca. Viceversa i post di analisi costruttiva e quelli “positivi” sono trascurati, spesso lasciati senza commenti. Come a dire “che me ne frega a me di quel che ti piace? Dimmi quel che non ti piace e ti aiuterò nel massacro”.

Perché qui si innesca l’altro fenomeno, quello dei “lanciatori di pietre – nasconditori di mano”. La rete assomiglia sempre di più a un territorio spartito tra branchi, in cui, come succede in quasi tutte le forme di aggregazione animale, c’è un esemplare Alfa che guida la muta e un gruppo più o meno variabile, più o meno piramidale che lo segue, bramoso di mordere vittime che altrimenti non si sentirebbero in grado di attaccare, diffondere notizie che altrimenti non saprebbe pubblicare. L’esemplare Alfa, novello generale napoleonico, quasi sempre si limita a definire la strategia di attacco e lanciare le prime – spesso latenti – critiche e accuse, agendo dall’alto di una maggiore esperienza e intelligenza – che sia votata al negativo non conta, l’intelligenza c’è – è molto attento nel non esporsi o nell’usare stratagemmi dialettici, dosando ironia, sarcasmo. Mischiando il vero, con il verosimile, con le illazioni e le opinioni, facendo in modo che diventi difficile, se non impossibile, distinguerli.

Lancia il sasso, nasconde la mano e lascia che sia la muta a finire l’opera di demolizione, in una escalation di aggressività dalla quale si dissocia affermando “io non sono responsabile delle opinioni di chi commenta”.

Ma intanto la “vittima” in questione è già stata massacrata. Nel linciaggio non è il singolo pugno del singolo picchiatore che uccide, ma la somma di tutti i pugni. Questo non rende ogni singolo picchiatore innocente, semmai, nel mondo reale è così, ma non in rete, lo rende tanto colpevole come se fosse solo, tanti colpevoli in solido.

Si può fare qualcosa, per limitare questo fenomeno? Secondo me sì, definendo regole certe e sicure per definire dove e come la libertà di espressione di opinioni, di satira, non diventi insulto e denigrazione o diffusione di notizie false e ingannatorie (forse basterebbe mutuare alcune delle regole già esistenti nel mondo civile). Definire normative che vincolino chiunque pubblichi in rete, divulghi e condivida, a seguire un processo responsabile di condivisione e moderazione per sé stesso e per chi partecipa negli spazi di sua responsabilità.

Come? Diventa complicato? E che lo sia. Qual è il rischio? Che si perdano voci pubbliche e libere? Sul pubblico dico che rispetto ai milioni di spazi presenti in rete non mi pare che ci sia il rischio di una gran perdita, soprattutto in qualità dei contenuti, oltre che in quantità. Sul Libere, si vede che la mia opinione di Libertà è un pochino più elevata di quella che hanno tanti altri.

Libertà per me significa, prima di ogni altra cosa, assumersi la responsabilità di ogni cosa che si esprime, prima di qualsiasi altra cosa l’espressione delle opinioni. Altrimenti torniamo indietro, non andiamo avanti. Altrimenti, tra pochi mesi – non decenni. Non anni. Mesi – a forza di ripeterlo, veramente qualcuno penserà che il cancro può essere curato dal bicarbonato, che il fascismo in fondo ha fatto anche cose buone, che i lager sono una invenzione della Lobby Giudaico Massone. Che se in fondo Moccia morisse, ma dai, un pessimo scrittore in meno, ci guadagnerebbero tutti. Anzi, scusate, mi sono sbagliato. Queste cose qualcuno già le scrive in rete e qualcuno già le crede.

L’etichetta non basta più, ci vuole l’Etica. Un’Etica della rete. L’Etica ha bisogno di regole. Ha bisogno di norme, per essere tutti più liberi, ma anche tutti più protetti.

Marco Proietti Mancini

Sono del 1961, quindi ho fatto tutta la vita in discesa (nel senso che non ha fatto altro che peggiorare). Scrivo da sempre, pubblico da poco e mi domando continuamente “ma chi me l’ha fatto fare?” Mi trovate qui, mi trovate su Facebook, mi trovate in libreria con “Da parte di Padre”, “Roma per sempre”, “Gli anni belli” e l’ultima creatura “Oltre gli occhi”. Ma tranquilli, se non mi trovate voi vi verrò a cercare io e scriverò di voi nel prossimo romanzo. Poi non vi lamentate se vi riconoscete nella parte del brutto e cattivo. “Tiri Mancini” è il mio personale terrazzino sul mondo, che di balcone famoso in Italia ne abbiamo già avuto uno e il padrone del balcone non è che abbia fatto una bella fine. Quindi – per chi passa e si ferma – preparatevi a gustare un panorama diverso da quello che vi mostrano gli altri, almeno io ci proverò, a farvelo vedere dal lato Mancini. Che fine farò io? Dipenderà da voi.