La natura umana e le sue miserie: Céline e il suo “Viaggio” tra le rovine di un’epoca

Il 1° luglio 1961 ci lasciava Louis Ferdinand Auguste Destouches – noto ai posteri con il suo pseudonimo Céline – una delle voci più influenti del Novecento, che con il suo stile letterario innovativo riuscì a infondere nuova linfa vitale all’intero panorama letterario europeo: .

Nato nel 1894 a Courbevoie, il giovane Céline partecipò attivamente alla Grande Guerra come sergente nelle Fiandre, da dove riportò gravi ferite che lo accompagnarono per tutta la vita. Poco dopo conseguì la laurea in Medicina e dal 1924 al 1928 lavorò per la Società delle Nazioni, impiego che lo portò a girovagare per il mondo: da Ginevra a Liverpool, dall’Africa agli Stati Uniti e a Cuba. Fatto ritorno in Francia, alternò la sua attività di scrittore all’esercizio della professione medica, rivolgendo le sue cure, a titolo quasi totalmente gratuito, alle classi sociali più povere e disagiate; un’attività che gli varrà l’appellativo di “medico dei poveri”.

In veste di scrittore, debuttò nel 1932 con il suo capolavoro Viaggio al termine della notte, un successo mondiale immediato, che suscitò fin da subito numerosi entusiasmi e allo stesso tempo contrasti feroci. Le polemiche intorno all’autore e ai suoi romanzi riempirono infatti le cronache letterarie francesi, alle quali Céline rispose semplicemente con il suo solito distaccato cinismo.

Il romanzo, a sfondo autobiografico, è una cruda esplorazione della natura umana e delle sue miserie quotidiane, in cui proprio quegli orrori visti e vissuti in prima persona dall’autore nelle trincee delle Fiandre rappresentano la prima tappa dove il giovane Ferdinand Bardamu, l’alter ego dello stesso Céline, muove i suoi primi passi. Inizia così il suo Viaggio nel labirinto oscuro dell’animo umano, nei meandri della miseria materiale e spirituale degli uomini, tra i Miserabili del Novecento, condannati alla sofferenza ma anche inclini al peccato. Il Viaggio diventa con lo scorrere delle pagine una fotografia tangibile e realistica di un’intera epoca: le durezze dell’Africa coloniale e le catene di montaggio delle fabbriche statunitensi del primo Dopoguerra formano e temprano il carattere controverso dell’anarchico studente di medicina. D’altro canto, ciò che più sconvolge e affascina della storia è che Bardamu osserva, scruta e descrive con estrema lucidità le sue esperienze, ma le vive con distacco e indifferenza fino a maturare un crescente disgusto verso le azioni della società nelle periferie più desolate, teatro di una miseria morale prima ancora che materiale.

Al di là di qualunque critica nei confronti di un gigante come Céline, dal suo spietato cinismo o alle sue presunte ascendenze ideologiche, il modo, realistico e visionario, raffinato e plebeo, con cui ha sputo trasfigurare questa realtà sarà sempre incredibilmente innovativo e profondamente attuale. Il suo linguaggio caustico, che ha tutta l’immediatezza del “parlato” quotidiano, è divenuta la colonna sonora della tragicommedia di un’epoca, dove la disperazione si trasforma in un’arma potentemente ironica contro lo spettacolo della meschinità umana.

Redazione

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