Il Piccolo Principe: un capolavoro che supera persino la bellezza del libro

Che il mondo moderno sia governato dai paradossi, dai fraintendimenti e dalla vocazione a manipolare l’errore fino a farlo diventare “inevitabile”, la menzogna fino a renderla “mezza verità” e il fine giustificabile sempre e comunque, ormai lo si dà per scontato. Uno di questi paradossi però è che una favola come Il piccolo principe rimanga uno dei testi più desiderati, posseduti e tramandati della Letteratura moderna. Già, perché così come capolavori analoghi tipo Pinocchio, Il Piccolo Principe è proprio questo: alta letteratura.

È allora possibile rendere affascinante, commuovente e profondo un film che ritrae una storia già di per sé praticamente perfetta? La natura dell’opera di Saint-Exupery rende l’impresa da un lato un po’ meno ardua, ma dall’altro ancor più ambiziosa, vista la facilità nel rischiare di sminuire qualcosa che traduce il senso stesso di “bellezza”.

Ebbene, sembrerà un’eresia, ma la pellicola che è approdata ieri nelle sale italiane è persino più bella del libro. Perché la magia che ritrae è qualcosa che ormai sembra sconosciuta all’uomo contemporaneo. Così come il libro, anche il film è un inno alla purezza, uno dei tanti casi in cui è il cuore dei bambini a ricordare agli uomini che anche loro “sono stati bambini una volta”, quando erano forse migliori, di sicuro più veri.

L’originalità della sceneggiatura sta nel parallelismo tra la storia del principe exuperiano e quella di una bambina senza nome, che potrebbe effettivamente essere chiunque di noi, combattuta tra la necessità di pensare da bambina, comportarsi da bambina e l’obbligo di diventare adulta. La voglia di andare oltre la cieca ambizione che logora lo spirito, oltre il calcolo, fuori da degli schemi predefiniti imposti da un contesto sociale in cui siamo immersi, la spinge con la fantasia a seguire le “follie” del vecchio pilota che la catapulterà nel mondo fantastico del piccolo principe.

C’è un vecchio detto ebraico che recita: “Mentre l’uomo pianifica, Dio ride”. Il senso della vita inserito nell’opera è in effetti tutto qui: vivere è tutto ciò che ti accade mentre pianifichi altro.

Una serendipità dietro la quale si celano tutti i meccanismi che costringono l’uomo moderno a inseguire sogni che spesso non fanno altro che renderlo cinico, arrivista ed egoista. Incapace di percepire l’”essenziale”. Già, essenziale, il termine che più d’ogni altro ricorre all’interno del film. E per essenziale Exupery intendeva proprio non perdere la capacità di “sentire”, di non ridurre il ruolo dell’uomo a un mero ingranaggio. Emblematica la figura dell’affarista del libro, che la bambina incontra anche nella pellicola, e che è ormai diventato così avaro da contenere tutte le stelle del cielo in una teka, e così incapace di comprenderne la magnificenza da utilizzarle come lampadine per illuminare il lavoro dei suoi operai.

Anche l’incontro col “vero” piccolo principe è tanto affascinante quanto angosciante, poiché quello che tutti noi che abbiamo letto la storia credevamo essere invincibile, e che per questo ci infuse speranza, non si è ridotto a un incompiuto, uno spazzacamino di scarso successo che si è completamente dimenticato della sua natura e del suo passato, proprio come ogni adulto dimentica troppo spesso cosa vuol dire essere “bambini”.

Dal punto di vista della fotografia, nessuna scena fa scaturire più emozioni come quella in cui il principe, al cospetto del suo più grande amore, la “sua” rosa, ormai mezza appassita come tutto il paesaggio del suo vecchio pianeta, riesce ancora ad illuminargli il cuore, grazie alla polvere dei suoi petali che produce un meraviglioso tramonto. Meraviglia, una parte decisiva di quell’ “essenziale” che non siamo più in grado di apprezzare.

Una critica al mondo moderno, dove i luoghi comuni, lo scetticismo (lo stesso che rende inizialmente il vecchio pilota inviso alla madre della bambina), la rincorsa verso l’autorealizzazione, il cinismo, l’incapacità di instaurare rapporti reali, con emozioni reali producono il mondo del calcolo, del virtuale, dell’affare. Un film che valorizza al meglio una storia per adulti, appunto, perché i bambini, e solo loro, queste cose le sanno già.

Daniele Dell

Daniele Dell’Orco

Daniele Dell’Orco è nato nel 1989. Laureato in di Scienze della comunicazione presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, frequenta il corso di laurea magistrale in Scienze dell’informazione, della comunicazione e dell’editoria nel medesimo ateneo. Caporedattore del sito Ciaocinema.it dal 2011 al 2013 e direttore editoriale del sito letterario Scrivendovolo.com, da febbraio 2015 è collaboratore del quotidiano Libero, oltre a scrivere per diversi giornali e siti internet come La Voce di Romagna e Sporteconomy.it. Ha scritto “Tra Lenin e Mussolini: la storia di Nicola Bombacci” (Historica edizioni) e, sempre per Historica, l’ebook “Rita Levi Montalcini – La vita e le scoperte della più grande scienziata italiana”, scritto in collaborazione con MariaGiovanna Luini e Francesco Giubilei. Assieme a Francesco Giubilei, per Giubilei Regnani Editore, ha scritto il pamphlet “La rinascita della cultura”. Dal 2015 è co-fondatore e responsabile dell’attività editoriale di Idrovolante Edizioni.