Il costo della disinformazione

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Se è vero che siamo una società dell’informazione, ovvero viviamo in un tempo in cui l’informazione ha un valore effettivo, economico, sociale, è merce di scambio e viene pagata come fosse un bene tangibile, a questo punto all’informazione stessa, in qualsiasi forma, deve essere garantita una tutela effettiva, legale.

Se il valore di una azienda può essere correlato al valore economico che hanno le sue azioni, ancora più di quanto non valgano l’effettiva produzione e il patrimonio dell’azienda stessa, se è ammissibile (e giusto) che la legge tuteli marchi e brevetti, che esista una protezione dei prodotti dell’ingegno, a questo punto è indispensabile trovare una forma analoga di protezione che garantisca i fruitori delle informazioni (come anche i produttori e i depositari delle stesse) certificandone la provenienza, la veridicità e l’effettivo valore.

Nello stesso modo però la legge, come è nella natura stessa del diritto, deve prevedere sanzioni adeguate per chi altera le informazioni, per chi le inventa, per chi le manipola strumentalmente. Qui non si tratta più solo di “bufale”, le vecchie leggende metropolitane che ognuno di noi ha fatto circolare di bocca in bocca, alimentando un circuito di “false verità”. Adesso l’informazione è potere, economico, politico, la disinformazione è quindi a tutti gli effetti un’arma contro il potere, è una forma – estremizzo, sia chiaro – di terrorismo.

Attenzione, io non mi sto schierando a favore di una informazione di regime, di un controllo dell’informazione da parte di una EntitàSuperiore; io sto dicendo che garantire le fonti, certificare i dati di base su cui l’informazione si poggia dovrebbe tornare ad essere, come un tempo era, la regola principale di un sano giornalismo, di una corretta divulgazione tecnica, scientifica, economica, politica e sociale. Adesso che le informazioni sono a disposizione di tutti, che in qualche modo tutti possiamo contribuire ad alimentare il grande universo virtuale delle informazioni in rete, attraverso le nostre testimonianze, video, foto, affermazioni, un controllo di quel che viene messo in rete dovrebbe essere garantito per aiutare le persone a riconoscere, a discernere i fatti, la verità, le informazioni vere, da quelle che sono solo – al massimo, volendo essere buoni – opinioni. Quando non addirittura false informazioni, fraudolentemente diffuse per creare danni a un concorrente (politico, economico, rivale in qualsiasi disciplina) o trarne vantaggi economici (falsa medicina, economia, alimentazione).

Il rischio di diventare una società di “spacciatori di informazioni false”, in cui oltretutto nessuno guadagna, perché tutti agiamo in assoluta buona fede e a titolo gratuito, è fortissimo e invade tutti i campi. La tuttologia spazia dalla medicina alla scienza, dall’ingegneria alla cronaca nera, alla politica, all’economia. Il fatto di essere tutti dotati di accesso alla rete, per leggere e per scrivere, la possibilità di consultare Wikipedia non ci rende automaticamente tutti laureati, il poter aprire – anche qui, in consultazione o creazione – un blog che parli di qualsiasi cosa, non ci rende esperti in nessuna materia. Nessuna.
La soluzione? Iniziare con un controllo/filtro delle notizie che vengono diffuse, qualsiasi sia il canale di diffusione, prevedere un sistema di responsabilizzazione adeguato per chi divulga informazioni, definire una sanzionabilità esemplare delle notizie false (ragazzi, c’è poco da fare, se un farmaco PRIMA di essere messo in commercio deve passare una serie infinita di test che durano anni e sono applicati a centinaia di migliaia di cavie umane e non, un motivo c’è, o vi devo ricordare della Talidomide? Allora se qualcuno inzia a diffondere l’informazione “non usate la chemio, vi vogliono uccidere! Il cancro si cura con il bicarbonato e limone” per me non ci sono se e ma, deve andare in galera).

Ci sono rischi, certo. Immagino i garantisti della libertà a ogni costo che invocano a forme di censura, non rendendosi conto che i danni dell’anarchia informativa sono immensi, molto più estesi del possibile danno della “non uscita” di una informazione o del ritardo nella sua pubblicazione. C’è il rischio del conflitto filosofico, per esempio come considerare le Religioni? Per definizione una religione NON si basa su dati certi, verificabili e documentabili.

Ce ne sono a iosa, di problemi da affrontare e risolvere, conflitti ideologici. Parliamo di informazioni, non di oggetti, non di brevetti, parliamo di qualcosa in cui il confine tra “opinione” e “affermazione” è labile. Certo è che – a mio giudizio – decidere una regolamentazione è qualcosa di non più prorogabile. Mi volto indietro e guardo, molto banalmente, ai danni causati dalla disinformazione allarmistica provocata solo negli anni scorsi sulle varie epidemie suine, aviarie, SARS e affini, ai costi sociali di acquisto di vaccini che sono andati buttati e mi domando cosa avrebbe dovuto dare lo stato, non comprare i vaccini? Con una opinione pubblica CONVINTA di essere di fronte all’epidemia finale? Convinta da – guarda caso – disinformazione.
Per concludere, rendo merito al tentativo di controllo che in questo senso sta provando a fare Facebook attraverso la creazione di un tool/processo di controllo delle “false informazioni”. Certo, tutto è perfettibile, ma almeno si ha la sensazione che uno dei principali siti attraverso cui le informazioni – vere, false, inutili – si propagano, si sta ponendo il problema sui danni che la disinformazione può fare.

Marco Proietti Mancini

Marco Proietti Mancini

Sono del 1961, quindi ho fatto tutta la vita in discesa (nel senso che non ha fatto altro che peggiorare). Scrivo da sempre, pubblico da poco e mi domando continuamente “ma chi me l’ha fatto fare?” Mi trovate qui, mi trovate su Facebook, mi trovate in libreria con “Da parte di Padre”, “Roma per sempre”, “Gli anni belli” e l’ultima creatura “Oltre gli occhi”. Ma tranquilli, se non mi trovate voi vi verrò a cercare io e scriverò di voi nel prossimo romanzo. Poi non vi lamentate se vi riconoscete nella parte del brutto e cattivo. “Tiri Mancini” è il mio personale terrazzino sul mondo, che di balcone famoso in Italia ne abbiamo già avuto uno e il padrone del balcone non è che abbia fatto una bella fine. Quindi – per chi passa e si ferma – preparatevi a gustare un panorama diverso da quello che vi mostrano gli altri, almeno io ci proverò, a farvelo vedere dal lato Mancini. Che fine farò io? Dipenderà da voi.