Il corsivo, una pratica “lenta” che è scomoda alla modernità digitale

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Immaginate un futuro in cui i vostri figli non saranno in grado di firmare un contratto di lavoro perché scrivere in corsivo si presenterà ormai come un’arte lontana. Immaginate un futuro in cui nessuno riuscirà a leggere le lettere dei propri bisnonni, recuperate dai ricordi di guerra. O, peggio ancora, immaginate un mondo in cui sarà praticamente impossibile decodificare la scrittura di testi o documenti antichi fondativi della nostra cultura. Non è – purtroppo – fantascienza. Le basi della nuova modernità, fondata esclusivamente sulla scrittura digitale, sono già state accolte da alcuni istituti scolastici d’oltreoceano (e non solo), e rischiano di ridurre la pratica del corsivo a pura disciplina facoltativa.

«La penna è più potente della spada», recita un noto aforisma inglese. Ma è più potente del computer? La risposta riguarda direttamente il Ministero della Pubblica Istruzione della Columbia Britannica, che negli ultimi tempi sta cercando di stabilire, attraverso una revisione del suo programma scolastico, se il corsivo sia ancora necessario al percorso formativo elementare. La scrittura a mano, secondo la Maple Ridge-Pitt Meadows, potrebbe infatti essere eliminata dal curriculum tradizionale. Anche la Finlandia, già nel 2014, aveva accolto positivamente le nuove riforme statunitensi. Infatti, da parte dell’Istituto Nazionale di Educazione, era stata avanzata la proposta di abbandonare definitivamente il corsivo per impegnarsi nell’apprendimento di una competenza molto richiesta sul mercato: il fluent typing, lo stampatello. Veloce, di facile apprendimento per i ragazzi e, soprattutto, di facile comprensione per i docenti durante la correzione dei test. In più, volutamente poco personale. Secondo alcuni insegnanti, questo sarebbe il primo passo verso una forzata “digitalizzazione” scolastica, una «tragedia» a detta del semiologo Umberto Eco, che più volte ha sottolineato come già nel nostro Paese circa il 50% degli studenti presenta «problemi con la grafia, oltre che con gli errori di ortografia». Ma, in alcuni istituti americani, il corsivo è già un ricordo da molti anni: «Non credo che la scrittura a mano sia importante» sostiene Amber Wilson, insegnante del quinto grado alla Canyon Heights Elementary School, «anche se riconosco il suo valore artistico, noi possiamo solo ammirarlo, ma non potremmo mai essere in grado di trarre beneficio da esso. I computer, oggi, rappresentano ciò di cui abbiamo bisogno». Le motivazioni, stando alle dichiarazioni dei piani alti, sembrerebbero esclusivamente di natura pragmatica. Ma non è da escludere che, dietro questa decisione, apparentemente dettata dalla “comodità”, si nasconda anche un’ostilità nei confronti di una pratica considerata obsoleta, inutile e addirittura elitaria. E ancora, dietro la presunta spinta ideologica, potrebbe svelarsi un progetto di natura economica. Certo, con la sostituzione della penna si avanza un più ampio sviluppo dei supporti informatici dell’istruzione: «Mi risulta che Bill Gates abbia fatto pressione sul sistema educativo per spingerlo a utilizzare maggiormente i computer» ha dichiarato in un’intervista Sheila Lowe, scrittrice e grafologa, nonché portavoce della “Campagna per il corsivo” negli Stati Uniti. Il problema, tuttavia, non investe solo i giovani. L’abitudine di scrivere a mano è ormai così deteriorata che in Gran Bretagna un adulto su tre non è in grado di leggere la propria calligrafia. La scrittrice Rin Hamburg ha confessato su TheGuardian che i suoi parenti hanno bisogno di aiuto per leggere i biglietti di auguri che spedisce durante le feste, e che da anni tiene un diario, ma non lo nasconde più, perché nessuno riuscirebbe a decifrarlo.

Modernità non significa necessariamente stravolgere il passato, tantomeno abbandonare una pratica che prima di essere estetica, riflette un ruolo importante nella formazione del pensiero. Non si può ignorare che scrivere è essenzialmente un atto di ragionamento. Grazie all’utilizzo di strumenti avanzati, le neuroscienze stanno verificando come la scrittura a mano sia molto più che un semplice modo per comunicare. La pratica manuale, che incoraggia la coordinazione occhio-mano stimola lo sviluppo cognitivo di tutti, non solo dei bambini. Un recente studio presso l’Indiana University ha infatti monitorato i movimenti neuronali di alcuni pazienti ai quali era stata sottoposta in un primo momento la visione di lettere su un monitor, e poi la pratica di queste ultime su un foglio. Una parte considerevole del cervello veniva attivata solo nella seconda operazione. Questo perché il corsivo, per sua natura, presuppone legami non solo grafici ma anche di pensiero. Dunque non stupisce, come sottolinea Ursula Bredel, che disimparare a scrivere a mano abbia delle conseguenze negative sulla correttezza del parlare. A rinforzare tale tesi è la psicologa Pam A. Mueller, che ha confermato come anche nel prendere appunti la scrittura in corsivo rechi vantaggi agli studenti: l’attività manuale consentirebbe loro di trasferire su carta quanto ascoltato secondo un atteggiamento più selettivo «includendo soltanto le informazioni che reputano più importanti», dunque rielaborando nello stesso istante il contenuto. Non meno importante il fattore “memoria”. Sono già moltissimi i casi di alunni che presentano difficoltà cognitive, proprio in virtù di questa rottura del rapporto tra pensiero e azione.

Lo scenario che si presenta, insomma, non è per nulla confortante. L’insofferenza alla lentezza – non solo del gesto grafico –, che tanto contraddistingue il nostro tempo, si scontra con la natura del cervello, la «macchina lenta» per eccellenza, che fonda la sua produttività sulla distensione del pensiero, resa impossibile dall’apporto unicamente digitale. Il dibattito, dunque, non dovrebbe interessare tanto la scelta di una tra le due realtà di scrittura, quanto le modalità di integrazione di queste ultime nelle varie attività scolastiche e lavorative del nostro quotidiano. Legittimo, tuttavia, temere un mondo in cui gli analfabeti sono destinati a crescere. Perché, chi non sa scrivere in corsivo non sarà nemmeno in grado di leggerlo, non avendo imparato, nel suo percorso formativo, a riconoscere correttamente le lettere dell’alfabeto.

Beatrice Cristalli

Beatrice Cristalli nasce nel 1992 a Piacenza. Laureata in Lettere con una tesi in Critica leopardiana presso l’Università degli Studi di Milano, prosegue la carriera accademica frequentando il biennio specialistico. Il suo blog è stato inserito nello Spotlight “scrittori” sul portale Tumblr. Attualmente è impegnata in un progetto accademico del Seminario di Filosofia della Letteratura presso l’Università degli Studi di Milano. Scrive per Cultora da gennaio 2016.