I dieci comandamenti (critici) dello scrittore esordiente

Già, perché molto spesso di questo si tratta, la mancanza di umiltà o le aspettative troppo elevate sono ciò che guidano le scelte e gli atteggiamenti degli scrittori che si apprestano a veder pubblicata la loro prima opera. Attenzione, questo non significa che non bisogna aver fiducia nei propri mezzi, bensì l’opposto, ossia essere consci del proprio lavoro senza per questo dover per forza fare chissà quali voli pindarici. Sono infatti queste alcune delle motivazioni alla base del malcontento che gli scrittori più inesperti ripongono nei confronti dell’editore che per primo decide di dargli fiducia.

Siccome mettendo la questione in questi termini si rischia di sembrare di parte, sarebbe giusto fare un appunto: lo scrittore merita rispetto, sempre. Merita ascolto, attenzione e considerazione se non altro perché ha avuto il coraggio prima di scrivere, e poi di sottoporre un testo all’attenzione di qualcun altro. Quindi chapeau.

Tuttavia, anche l’editore è giusto che rivendichi un certo trattamento in virtù del ruolo che occupa: quello di professionista, appassionato e imprenditore.

Una volta svolti i dovuti convenevoli, via con il secondo comandamento: “Presentare sempre all’editore un testo più pulito e corretto possibile”. È bene infatti evitare di inviare un’opera che non rispetti il minimo canone espressivo richiesto. Estro non vuol dire infatti scrivere in Comic Sans, in viola o arancione perché quello rappresenta “il mio modo di essere”, altrimenti sarebbe meglio scrivere un bel diario segreto, più segreto possibile. Sarebbe molto più utile invece fornirsi di un manualino di editing dal quale attingere almeno le regole basilari per rendere un prodotto stilisticamente editabile.

Terzo comandamento: “Dopo aver letto, riletto, fatto leggere e rileggere milioni di volte il testo, accettare sempre di buon grado l’editing offerto dall’editore”. Sembra paradossale ma vale la pena sottolinearlo, perché sempre più spesso si presentano casi di scrittori esordienti privi di qualsiasi pudore che considerano il frutto del proprio lavoro al pari della Commedia di Dante: Divina!

Quarto comandamento: “Essere i primi promoter di se stessi”. Qui entra in gioco l’autostima dell’autore. È infatti inutile pretendere che un editore faccia comparire la propria opera in tutte le vetrine di tutte le librerie d’Italia. La figura dell’editore in questo caso non è infatti quella di chi si rende responsabile del successo di un’opera grazie a formule magiche in grado di far conoscere a chiunque il talento nascosto di un genio incompreso. È un’impresa titanica riuscire a far emergere da soli il nome e l’opera di uno scrittore esordiente nel panorama iper-saturo dell’editoria italiana. Bisogna dunque essere i primi a credere nel proprio lavoro a tal punto da sviluppare una rete di contatti autonoma che faciliti la diffusione del libro, nei limiti del possibile, ovviamente. La buona volontà, l’umiltà e il gioco di squadra sono ciò che gli editori amano alla follia.

Il quinto comandamento è un po’ più tecnico: “Scrivere qualcosa di interessante”. Mi sarà capitato solo nell’ultimo mese di leggere o veder pubblicati decine di manoscritti ambientati durante l’Olocausto, o all’interno di una scena tratta direttamente da CSI: New York. Servono idee originali, non basta pensare di averne una.

Sesto comandamento: “Non stalkerare l’editore”. Il neologismo è in questo caso indispensabile. Qualsiasi sia il problema, qualsiasi possa essere il dubbio lancinante da risolvere, è vietato considerare il proprio editore come un centralino a disposizione 24 ore al giorno. Il sabato sera alle 10 anche gli editori hanno una vita.

Settimo comandamento: “Nelle occasioni pubbliche essere concisi, avere tatto”. Che si tratti di una fiera del libro, di una presentazione o di qualsiasi evento pubblico, l’editore è un lavoratore come tutti gli altri, quindi non è educato pretendere di monopolizzarne l’attenzione sollevando le proprie questioni per ore. Se tutti gli autori si comportassero così le fiere del libro sarebbero vuote… di editori!

Ottavo comandamento: “Condividere le scelte”. Non importa quanto pensiate possa essere bello il titolo scelto, o l’immagine di copertina ad effetto, se l’editore, il responsabile commerciale della buona riuscita del progetto, vi consiglia di cambiare strada, ascoltatelo. O quantomeno, cercate un compromesso.

Nono comandamento: “Qualsiasi sia l’imprevisto, trarne beneficio”. Durante il percorso verso la pubblicazione, tanto quanto quello post-pubblicazione ci saranno sempre centinaia di incidenti di percorso, cose che non andranno come previsto, battute d’arresto. Più che provare ad individuare un colpevole e lanciare giudizi è importante fare tesoro degli errori compiuti.

Decimo e ultimo comandamento: “Imparare a conoscere il mercato editoriale”. Si tratta della massima in grado di rendere superflue tutte le altre nove. Se si ha la passione per la scrittura ma si vuole tenere il manoscritto nel cassetto a vita allora si può benissimo ignorare ognuno di questi consigli, ma se si vuole tentare l’avventura della pubblicazione bisogna prima comprendere i meccanismi che rendono il mercato del libro ciò che esso è in realtà: una jungla. Come impostare la propria idea, come presentare un’opera, quale editore cercare, come interfacciarsi con lui, quali strade intraprendere una volta che il libro è stato pubblicato, quali sono le aspettative reali, sono tutte questioni impossibili da comprendere per chi non mastica nulla di editoria. È un po’ come cantare sotto la doccia e sperare di vendere più dischi di Michael Jackson.

Daniele Dell

Daniele Dell’Orco

Daniele Dell’Orco è nato nel 1989. Laureato in di Scienze della comunicazione presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, frequenta il corso di laurea magistrale in Scienze dell’informazione, della comunicazione e dell’editoria nel medesimo ateneo. Caporedattore del sito Ciaocinema.it dal 2011 al 2013 e direttore editoriale del sito letterario Scrivendovolo.com, da febbraio 2015 è collaboratore del quotidiano Libero, oltre a scrivere per diversi giornali e siti internet come La Voce di Romagna e Sporteconomy.it. Ha scritto “Tra Lenin e Mussolini: la storia di Nicola Bombacci” (Historica edizioni) e, sempre per Historica, l’ebook “Rita Levi Montalcini – La vita e le scoperte della più grande scienziata italiana”, scritto in collaborazione con MariaGiovanna Luini e Francesco Giubilei. Assieme a Francesco Giubilei, per Giubilei Regnani Editore, ha scritto il pamphlet “La rinascita della cultura”. Dal 2015 è co-fondatore e responsabile dell’attività editoriale di Idrovolante Edizioni.

Nooooooo! Un altro decalogo?!
Sul punto “Scrivere qualcosa di interessante non sono d’accordo. Nel senso che anche l’argomento più trito e ritrito del mondo può fornire spunti a chi sa raccontare una storia. E ritengo che l’esempio “Olocausto” sia una scelta sbagliata perché proprio in quel tragico periodo storico le suggestioni sono migliaia e possono, in mano a gente capace, dare vita a storie indimenticabili.

Mirare bene, cioè conoscere gli editori più adatti alla propria opera, è uno dei segreti meno nascosti ma anche più sottovalutati, secondo me. Conoscere il mercato editoriale è importantissimo, concordo. La disseminazione di manoscritti a pioggia senza una verifica attenta di quali editori possano avere attinenza con l’opera è segno di inesperienza e scarsa consapevolezza. E aggiungerei, senza che questa diventi un’ipotetica regola (solo un suggerimento di buonsenso che si può trascurare a piacimento), essere ottimi lettori: come si fa a scrivere senza amare la lettura (cioè la scrittura altrui?). Eppure ciò che sembra ovvio non è così scontato per tutti. Leggere dovrebbe essere la base per orientarsi meglio e – siamo onesti – per stabilire relazioni positive con gli altri scrittori e con gli editori stessi.

Emozionare soprattutto, non secondo una regola trita di clichè dell’emozione ovviamente, ma sapere raccontare qualunque tema con l’abilità di un affabulatore, rispetto ad un presunto ottimo tema/soggetto raccontato con sciatteria è, con un apparente paradosso, fa molto più vissuto letterario e partecipazione.
Non dimenticherò MAI la mia sensazione di sgomento mista ad un brivido quasi erotico quando tanti ani fa terminati di leggere un libro di Mario Puzo “Anche i folli muoiono”.
Mi ricordo che lo divorai rubando tempo allo studio e all’ascolto della musica e alla fine chiudendo il volume dissi tra me e me:”Ma CHE COSA è successo in questo libro?”
NIENTE!
Eppure era letteratura, seduzione, fascino grazie alla quale ancora oggi leggo.