Harper Lee diventa la “Jane Austen dell’Alabama” con Il buio oltre la siepe

di Federica Colantoni, in Letteratura, del 26 Feb 2015, 09:30

“Atticus, vinceremo la causa?”
“No, tesoro.”
“Ma allora, perché…”
“Non è una buona ragione non cercare di vincere sol perché si è battuti in partenza”.

Siamo negli anni Trenta, nel sud degli Stati Uniti. Il buio oltre la siepe è un libro che parla dell’ignoto. Il buio che circonda ciò che, seppur vicino a noi, non comprendiamo e ci spaventa. Come Jem e Scout, che temono il misterioso vicino Boo Radley. E come gli abitanti di Maycomb, che temono Tom Robinson solo perché è nero.
Molti i temi affrontati da Harper Lee, tutti in qualche modo legati all’altro da sé, a ciò che non si conosce e di cui si ha paura. Mentre scrive vige ancora la segregazione razziale, e scrive di razzismo, di xenofobia, di pregiudizi, ma anche di tolleranza, di giustizia, di morale. Argomenti forti e pesanti, ancora oggi controversi, affrontati da una bambina di nove anni che, fin dalle prime pagine, ci delizia con le sue domande curiose e il suo disarmante buonsenso.
In qualche modo è anche un romanzo autobiografico: Harper Lee, proprio come la piccola Scout, cresce in una cittadina dell’Alabama negli stessi anni, ha padre avvocato difensore di neri (anche se segregazionista a differenza di Atticus Finch) e un compagno di giochi Dill, costruito sulla figura di Truman Capote. “Harper Lee teneva testa ai rudi compagni delle elementari di Monroeville e difendeva l’amico del cuore, arrivato da fuori e venuto ad abitare nella casa a fianco alla sua: un fragile Truman Capote”.
È proprio l’autore di Colazione da Tiffany che, secondo le voci, incoraggiò l’amica a scrivere. Un incoraggiamento che, suppongo, si sarà pentito di aver dato poiché, secondo la sorella di Harper Lee, “Truman, già uno scrittore famoso, fu preso dall’invidia quando mia sorella vinse il Pulitzer. Da allora i loro destini si sono separati”.
È forse per la perdita del suo amico scrittore che l’autrice non ha più scritto altri romanzi dopo Il buio oltre la siepe? È una questione che si è prestata a tante speculazioni, alcune delle quali sostenitrici del fatto che la Lee sia stata aiutata dall’amico, già affermato scrittore, nella stesura dell’opera simbolo della lotta per diritti civili negli USA. Le ragioni racchiuse nell’animo della scrittrice non le potremo sapere mai, ma possiamo affidarci alle sue parole quando risponde all’amica Connie Baggett: “I motivi sono due: non mi sottoporrei di nuovo, per tutto l’oro del mondo, alle pressioni e alla pubblicità arrivate dopo Il buio oltre la siepe. E poi ho detto tutto quello che avevo da dire e non intendo ripeterlo”.
E in effetti dopo il rumore mediatico andato avanti qualche anno dopo la pubblicazione, Nelle Harper Lee chiude i contatti con la stampa e conclude, così sembra, la sua carriera di scrittrice. Fino a oggi: in queste prime settimane del 2015 alle nostre orecchie è giunta la voce di un nuovo romanzo, Go Set a Watchman – sequel de Il buio oltre la siepe ma scritto qualche anno prima – che sarà pubblicato quest’estate.
È un romanzo questo già carico di aspettative, nella mente di tutti già risulta il degno successore di quel titolo che ha valso alla Lee un Pulitzer e la Presidential Medal of Freedom.
La Presidential Medal of Freedom.
Un’onorificienza che pochi uomini di lettere hanno ricevuto, e ancor meno donne. Un’onorificienza che Harper Lee ha meritato, forse senza volerlo: Il buio oltre la siepe è stato pubblicato nel 1960, pochi anni dopo vede la luce il Civil Rights Act (1964) che dichiara illegale la segregazione razziale.
Forse non vuol dire niente. Forse nessuno dei signori che approvarono la legge ha mai letto Harper Lee. Ma forse invece sì. Forse se è diventato un testo scolastico, un motivo c’è. Forse ha contribuito a creare una comune coscienza di giustizia e un profondo senso di uguaglianza. Su cui bisogna ancora lavorare, non c’è dubbio.
Ma non vi è dubbio nemmeno sul fatto che Harper Lee sia stata una donna in grado di vedere il mondo che la circondava con sguardo critico e vivace, e che sia stata capace di raccontarlo.
In un’intervista, quando ancora parlava alla stampa, disse: “Vorrei essere la Jane Austen dell’Alabama”. Jane Austen osservava, ironizzava, rifletteva, giocava, e scriveva sul mondo, il suo mondo, quello che viveva ogni giorno. E così ha fatto Harper Lee. E se dopo 50 anni si legge ancora il suo libro nelle scuole, così come si legge Orgoglio e Pregiudizio, forse può ritenersi esaudita.

Federica Colantoni

Federica Colantoni nasce a Milano nel 1989. Laureata in Sociologia all’Università Cattolica nel 2013, pochi mesi dopo inizia il percorso di formazione in ambito editoriale frequentando due corsi di editing. Da dicembre 2014 collabora con la rivista online Cultora della quale diventa caporedattrice. Parallelamente pubblica un articolo per il quotidiano online 2duerighe e due recensioni per la rivista bimestrale di cultura e costume La stanza di Virginia.