Finalmente la politica dice “chissenefrega del numero dei laureati”

di Daniele Dell’Orco, in Letteratura, del 12 Ago 2018, 15:37

L’Italia si conferma povera di laureati. All’ultimo posto nel 2016, penultima oggi, conta solo 26 dottori ogni cento cittadini tra i 30 e i 34 anni. Peggio, tra tutti i Paesi membri della Ue, fa solo la Romania (25,6%). Nel 2016, la percentuale di laureati in questa fascia d’età è cresciuta in tutta l’Unione (arrivando al 39,1%), ma l’Italia resta indietro nelle classifiche. È vero che gli italiani con un titolo di istruzione superiore sono raddoppiati rispetto al 2002, quando la quota era del 13,1% e che il dato odierno supera l’obiettivo nazionale del 26%, ma resta lontano il traguardo della strategia “Europa 2020”, che tutti i Paesi arrivino per quella data ad avere il 40% di laureati.

Ciò che i numeri non dicono, però, è la qualità del plus-valore di laureati. Ed è il concetto che ha provato ad esprimere il sottosegretario ai Trasporti ed esponente leghista, Armando Siri, durante la trasmissione televisiva In Onda, su La7.

“Ma chi se ne frega, chi ne se frega, chi se ne frega, chi se ne frega”, ha ripetuto più volte il sottosegretario quando il conduttore in studio gli ha fatto notare, appunto, che l’Italia è – tra i paesi “dell’Europa civile” – quello con il “più basso numero di laureati”.

Il punto, secondo Siri, è che non tutte le categorie di lavoratori hanno bisogno di studiare e prendere una laurea. Per il sottosegretario, in sostanza, “i laureati devono essere gli ingegneri, devono essere i medici, devono essere gli avvocati”. Al netto della caccia alle streghe che si inaugura ad ogni dichiarazione impopolare di un esponente della Lega, dargli torto dal punto di vista concettuale diventa parecchio difficile. Le cifre infatti, si sa, bisogna saperle leggere. Lo stesso rapporto Censis che ci condanna, per esempio, riporta che nella fascia d’età indicata il tasso di laureati in Spagna sia più alto di quello che c’è in Germania. Ma nessuno si sognerebbe mai di ritenere l’una più produttiva dell’altra.

Il problema è che questa smania di rincorsa dell’obiettivo 40% ha spinto nel corso degli anni gli atenei a conformare le offerte didattiche in modo troppo dispersivo inaugurando corsi di laurea inutili e stimolando le iscrizioni “per inerzia”. Non è un caso infatti che in Italia solo il 53% di chi ha ottenuto la laurea (dati Eurostat) riesce a trovare un’occupazione dopo tre anni dal conseguimento del titolo. Questo perché, complice un orientamento nelle scuole secondarie troppo approssimativo, e complici le poche facoltà con il numero chiuso, vengono spinti troppi studenti “incerti” a scegliere delle facoltà che non rispecchiano il loro background e che sono già piene di laureati in proporzione al numero di posti di lavoro. Sarà anche questo il motivo per cui l’età media dei laureati supera i 26 anni.

La priorità, dunque, non è rincorrere le statistiche. Anzi, forse sarebbe la volta buona che la politica iniziasse a fregarsene. Come in ogni società civile, le istituzioni dovrebbero lavorare per formare i giusti profili professionali in base alle esigenze del mondo del lavoro. Non è necessaria una laurea “qualsiasi” che crei poi troppi ragazzi incollocabili. Il paradosso è servito: secondo un recente report fornito dal sistema Excelsior di Unioncamere, realizzato insieme ad Anpal, da qui a 5 anni ci saranno 2,5 milioni di posti di lavoro, di questi 2 milioni saranno frutto del turn over, il resto nuovi posti. Tra questi, il «tasso di fabbisogno» più alto da qui al 2022 riguarda alcuni laureati in particolare: statistici, ingegneri, laureati in economia, medicina e chimica farmaceutica. Eppure, le università italiane non saranno in grado di stare al passo con la richiesta del mercato, poiché non solo producono pochi laureati, ma pochissimi in queste facoltà.

La rincorsa alla laurea “qualsiasi” ha poi come effetto collaterale anche quello di affossare l’economia reale, diminuendo in misura drastica il personale artigiano e le iniziative imprenditoriali dei giovani artigiani. In questo sta il succo della tesi di Siri.

Secondo gli ultimi dati Infocamere-Unioncamere al 31 dicembre 2016, in totale in Italia le imprese artigiane sono 148 mila, in calo del 6,5%. E oltre alla contrazione numerica, diminuisce anche il loro accesso al credito. Le più recenti dinamiche del credito mostrano a dicembre 2016 un aumento tendenziale dello 0,2% dei prestiti alle società e alle imprese mentre i prestiti al totale delle famiglie aumentano dell’1,9%. Gli ultimi dati sui prestiti per dimensione di imprese relativi a novembre 2016 indicano un aumento dello 0,4% per i prestiti alle imprese medio-grandi mentre persiste il calo per le imprese di minor dimensione con i prestiti alle imprese con meno di 20 addetti in flessione del 2,0%.

Negli ultimi 45 anni è andata persa la metà degli apprendisti nelle botteghe. Era il settore che tutti ci invidiavano. Ora i giovani lo ritengono un ripiego. È stato il settore trainante dell’economia italiana, quello che “ha messo il turbo” e ha creato il boom economico: l’artigianato è la vera forza dell’economia italiana, con gli apprendisti una volta pronti a diventare gli imprenditori del domani, oggi quasi in via d’estinzione: dai 721mila occupati in pieno boom economico si è scesi nel 2015 a poco più di 410 mila, il 43% in meno in 45 anni.

Il circolo vizioso è rappresentato dalla formazione antiquata e per nulla selettiva già a partire dalle scuole superiori, che crea un forte senso di disorientamento nel momento in cui ci si approccia alla scelta della facoltà da intraprendere, ma soprattutto un senso di inadeguatezza, con decine di migliaia di studenti portati a scegliere la strada più “semplice” ma con meno sbocchi lavorativi. Il risultato è un esercito di laureati inutili e per di più poco preparati, costretti a guardare altrove per cercare un impiego. E non solo in senso geografico.

Daniele Dell’Orco

Daniele Dell’Orco è nato nel 1989. Laureato in di Scienze della comunicazione presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, frequenta il corso di laurea magistrale in Scienze dell’informazione, della comunicazione e dell’editoria nel medesimo ateneo. Caporedattore del sito Ciaocinema.it dal 2011 al 2013 e direttore editoriale del sito letterario Scrivendovolo.com, da febbraio 2015 è collaboratore del quotidiano Libero, oltre a scrivere per diversi giornali e siti internet come La Voce di Romagna e Sporteconomy.it. Ha scritto “Tra Lenin e Mussolini: la storia di Nicola Bombacci” (Historica edizioni) e, sempre per Historica, l’ebook “Rita Levi Montalcini – La vita e le scoperte della più grande scienziata italiana”, scritto in collaborazione con MariaGiovanna Luini e Francesco Giubilei. Assieme a Francesco Giubilei, per Giubilei Regnani Editore, ha scritto il pamphlet “La rinascita della cultura”. Dal 2015 è co-fondatore e responsabile dell’attività editoriale di Idrovolante Edizioni.