CambieRai, i numeri di una consultazione davvero inutile

di Gennaro Pesante, in Blog, Media, New media, Televisione, del 28 Lug 2016, 12:36

Sarebbe necessaria una sorta di “moratoria” per tutte quelle iniziative, riguardo il servizio pubblico radiotelevisivo, che portano nel nome l’acronimo “Rai”. Perché, seriamente, non se ne può più di “VedRai”, “InnoveRai” e – ultimo arrivo – “CambieRai”. Ma tant’è. L’ultimo arrivato è il nome della prima consultazione sul servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale realizzato dal governo attraverso l’Istat e in vista del rinnovo della concessione con lo Stato. Ecco, solo per il nome che gli hanno dato la concessione andrebbe assegnata a qualcun altro!

Detto questo, 9.156 italiani vi hanno partecipato. Non si tratta di un campione da record, però il rappresentante del governo – nella sua presentazione alla Camera – ha tenuto a precisare che una iniziativa analoga fatta dalla Bbc aveva visto la partecipazione di meno gente. Il presidente Istat, almeno, ha avuto la decenza di spiegare che tale consultazione non è che abbia grande valore statistico per il fatto, ad esempio, che ben il 40,4% dei partecipanti è diplomato e il 30,6% è laureato, il che probabilmente sta a significare che il campione non è affatto rappresentativo del Paese ma solo di una parte di esso e che, per inciso, stando alle statistiche – quelle serie – è quello che segue meno la televisione. Di più: il 43% di chi ha risposto al questionario è un lavoratore dipendente, e di questi il 3,5% è dipendente Rai. Insomma, una consultazione che rasenta livelli “condominiali”.

Altri dati significativi che contribuiscono allo smantellamento di questa “ricerca” sono quelli che riguardano le aree geografiche. Il campione proviene in percentuale maggiore da Lombardia (18,8) e Lazio (15,9), seguiti da Veneto (9,4), Emilia Romagna (8,4) e Toscana (6). L’Abruzzo ha partecipato per l’1,7%, la Calabria per il 2,1, la Puglia per il 4,8 e la Sicilia per il 4,1. Insomma, numeri che fotografano a mala pena un pezzo d’Italia. Significativo anche il dato sulla “qualità del segnale dei programmi Rai”: per il 36,4% il voto è ben 4 su una scala di 5, facile quando chi ha partecipato risiede in larga parte dove il digitale terrestre funziona davvero. Sarebbe interessante andare a parlare con quanti, in Basilica, Puglia, Calabria, Sardegna e chissà in quanti altri punti del Paese vedono arrivare il segnale tv con qualità di tipo anni cinquanta.

Il resto delle domande del questionario è spesso opinabile, per non dire assolutamente vago: alla domanda “la Rai si differenzia dalle tv a pagamento?” il 45,2% ad esempio dice “sì è diversa” rispetto a film e telefilm. Ma in cosa sarebbe diversa non è dato sapere: in bene o in male?!

Questa poi è da manuale, “cosa dovrebbe contraddistinguere un programma di intrattenimento Rai”: per il 75,6% la cultura, per il 25,2 il racconto di storie, per il 24,4 la satira, per il 23,8 la musica e via dicendo. Ma storie, satira e musica non sono cultura?! Insomma, forse la consultazione andava strutturata meglio o, forse, non andava nemmeno effettuata. Non sarebbe più logico che di televisione si occupassero quelli che ci capiscono qualcosa?! E poi a cosa sarà servita questa iniziativa visti i numeri e la ripartizione decisamente parziale che viene fuori dai dati?! Ci sarebbe davvero di che riflettere per bene prima che lo Stato rimetta nelle mani dei dirigenti di viale Mazzini il racconto del Paese attraverso la tv pubblica italiana. Ma si sa già come andrà a finire. Vedremo, anzi, vedRai… .

Gennaro Pesante

Gennaro Pesante, nato a Manfredonia nel 1974. Giornalista professionista, vive a Roma dove lavora come responsabile dei canali satellitare e youtube, e come addetto stampa, presso la Camera dei deputati.