ArT in PiLls: quel Cardellino sulla cover del libro di Donna Tartt

Il cardellino, Carel Fabritius,1654, Mauritshius de L'Aia.

Tra le scrittrici contemporanee che mi affascina per l’aura enigmatica che la attornia c’è l’americana Donna Tartt. Confesso che fino all’anno scorso non sapevo nemmeno chi fosse (non me ne vogliano lei e nemmeno i suoi estimatori), o meglio mi era capitato di sentire parlare di lei come di un’autrice che pubblica con il contagocce. Nel 2014 è arrivato anche in Italia il suo ultimo romanzo, Il cardellino, premiato dal Pulitzer proprio per la sezione narrativa 2014. Così, dopo aver visto una brevissima intervista alla Tartt (tipo 5 minuti) il suo sguardo magnetico, anche un filino gelido direi, mi ha come attraversato ma, soprattutto, ho avuto come la strana sensazione di conoscere quella donna da sempre. Molto incuriosita da quello sentito dalla voce della Tartt mi son detta: “Ok facciamoci un regalo e compriamoci Il cardellino” e così ho fatto. A giugno dell’anno scorso, complice l’aver perso il treno da Milano a Brescia, sono entrata nella libreria Feltrinelli in stazione Centrale a Milano, e quel tomone di 892 pagine è diventato mio. La lettura è stata un lampo, nel senso che nell’agosto del 2014, in pochi giorni (cinque), me lo son assaporata tutto d’un fiato e anche se so che a molti lettori non è piaciuto molto, vi garantisco che il libro vi lascia dentro una sensazione di irrisolto, di un qualcosa compiuto ma non del tutto finito e che fa molto pensare al senso dell’esistenza umana e a quanto a volte raggiungiamo dei traguardi, ma è come se mancasse in noi un qualcosa per dire: “Adesso ho finito” o “Ce l’ho fatta”. Non da meno è la capacità della scrittrice di portarvi dentro alla mente dei diversi personaggi e di farvi vivere accanto a loro, facendovi provare gli stessi stati emotivi, qualità che ho riscontrato anche negli altri suoi due romanzi Dio di illusioni e Il piccolo amico. E quando ho scoperto che la Tartt ha scritto solo tre romanzi, a cadenza decennale, ho capito il senso di quell’epiteto “scrittrice con il contagocce”. Saranno anche tre romanzi ma quando li leggete, ecco, vi lasciano il segno.

Detto questo, torno a Il cardellino, perché nel libro la trama prende il via da un quadro che dà il nome al romanzo stesso. L’opera venne realizzata da Carel Fabritius, un pittore olandese considerato uno dei migliori allievi di Rembrandt, dal quale andò a studiare attorno al 1640. Fabritius era un artista di grande qualità espressiva e pittorica, ma delle sue opere, purtroppo, ci rimane ben poco. Perché? Nel 1650 il pittore si trasferì a Delft, dove entrò nella gilda dei pittori conquistando subito apprezzamenti di pubblico e critica, ma il destino imprevedibile lo strapperà alla vita, a soli 32 anni, il 12 ottobre del 1654 quando il magazzino con funzione di deposito della polvere da sparo sotto il suo studio esplose. Nel disastro Carel perse la vita e molti dei suoi lavori vennero distrutti, ma Il cardellino riuscì a salvarsi e a finire tra le pagine e sulla copertina del libro di Donna Tartt.

Il quadro (un olio su tela su una tavoletta di 33 cm x 18 cm) oggi si trova al Maurithshius all’Aia ed è un dipinto di una bellezza semplice e disarmante. Il soggetto è l’uccellino del cardellino ritratto qui nelle sue dimensioni reali da una prospettiva che lo vede da sotto in su . Le pennellate di colore di Fabritius son rapide e fluide (proprio come in Rembrandt) e gli permettono di definire attraverso cromie chiare e scure quell’uccellino che, con delicatezza, poggia su una sorta di piccolo trespolo fissato nella parete. Concentratevi sul musetto del cardellino, se notate gli occhietti vispi e brillanti son incorniciati dalle piume rosse e sembrano osservarci e quasi voler penetrare il nostro sguardo come per invitarci ad una corrispondenza di sensazioni tra mondo animale e umano . Anche il becco se lo guardate bene è rilassato e sembra quasi sciogliersi in un tenero sorriso .

Osservando la tavoletta ci si rende conto che l’uccellino vive in una dimensione domestica per la presenza di una fine catenella che lega la sua zampetta al trespolo sul quale poggia, ma questa condizione non sembra essergli di peso.

Passando al fondo esso è monocromo, tinto di un colore ocra chiara tendente al nocciola (beige) e questa scelta oltre che ad evidenziare una sorta di minimalismo presente nell’intera scena dipinta, permette all’uccellino di staccarsi dal fondale edi emergere da esso con tutte le sue dolci forme e delicati colori. A certificare l’appartenenza del dipinto a Fabritius la firma a caratteri cubitali fatta dalla mano del pittore olandese

Il cardellino di Carel Fabritius è composto da pochi elementi, ma essi bastano ad emozionare e a smuovere l’animo di chi osserva, perché la cosa che mi stupisce ogni volta che guardo il dipinto – e qui si crea lo stesso effetto che la Tartt fa nei suoi libri: trascinare chi guarda o legge dentro alla dimensione narrativa o, in questo caso, pittorica – ho come la sensazione di percepire il soffice piumaggio e lo stesso calore della vita che si percepisce tenendo tra le mani un piccolo uccellino.

P.S.1 Non so chi di voi leggerà Il cardellino di Donna Tartt, ma sappiate che c’è un punto all’inizio del romanzo che ricorda molto la drammatica fine di Carel Fabritius.

P.S.2 Messaggio diretto alla Tartt, che logicamente non leggerà mai questo articolo, ma spererei di leggere (magari non tra dieci anni) un suo nuovo romanzo… perché son ho già la certezza che sarà un piacere entrare nelle creazioni della sua fervida mente umana e letteraria.