Alessio Bondì racconta Sfardo: “da quello strappo sono uscite musiche e gioie”

Due settimane fa, il 7 aprile, è uscito Sfardo, il primo lavoro del cantautore palermitano Alessio Bondì. Il disco, prodotto da Malintenti Dischi e 800A Records, è una finestra su un mondo fatto di evocazioni, quasi fiabesco ed elegante. Il tutto cantato in dialetto palermitano, che riesce a regalarci un’atmosfera esotica, con una voce che si rivela anch’essa strumento fra gli strumenti. L’hanno paragonato a Devendra Banhart, a Jeff Buckley, e saranno anche paragoni calzanti, ma mi pare che sia difficilmente classificabile, il che è solo un bene. È un disco atipico, strano da trovare in Italia, e già solo per questo merita un ascolto.

Un debutto di tutto rispetto, che dunque cattura l’attenzione per musica e testi, e che mi ha fatto venire voglia di scoprirne di più, per questo ho “costretto” il cantautore, tra un soundcheck e un concerto, a circa un’ora di chiacchiere rivelatasi molto interessante.

Ciao Alessio, qualche giorno fa è uscito Sfardo, il tuo disco di debutto. Partiamo dal titolo, Sfardo, cosa vuol dire?

Significa “strappo”, o meglio ancora, “sfaldamento”. È un titolo simbolico che richiama una lacerazione profonda da cui è nato questo disco. È anche un omaggio alla prima canzone che ho scritto in siciliano, che porta lo stesso nome, e che è arrivata in un momento in cui non mi sarei mai aspettato di scrivere. Da quello strappo sono quindi usciti colori, suoni, musiche, gioie. Da una sofferenza personale è nata una musica. Una sorta di magia.

Cantare in siciliano è una scelta che porterai avanti o che potrebbe essere limitata solo ad alcuni lavori?

In realtà, prima di Sfardo, ho sempre cantato in inglese. C’è stato anche qualche tentativo in italiano. Al momento non so se farò tentativi in altre lingue, non ho fretta. D’altronde scrivere in siciliano non è stata una scelta, piuttosto una necessità.

Come stai vivendo questi giorni dopo la pubblicazione?

Sto facendo un tour di presentazione del disco, sono delle giornate molto intense. È tutto molto strano. Ho sempre fatto molti live e ho sempre dialogato con chi veniva a sentirmi, prima dell’uscita del disco. Ora è cambiato qualcosa, è come se tutti avessero la possibilità di frugarmi nei cassetti, ascoltando quello che ho scritto. Ovviamente l’uscita dell’album è un evento positivo, ma devo imparare a distaccarmene un po’.

Come si è già detto, la lingua del disco è il tuo dialetto. Quanto conta per te l’appartenenza alla tua terra?

Non saprei. Quanto conta per te? Essere siciliano, essere del Sud, è sicuramente un modo di vedere il mondo. Essere palermitano di periferia, come me, porta dietro anche cose spiacevoli. Una chiusura mentale, degli orizzonti, una voglia di chiudersi agli altri che però non mi appartiene.
Mi descrivono come il tipico palermitano perché canto in dialetto, ma non lo sono. Per me cantare in palermitano non è una cosa strana, non è cantare in un’altra lingua, perché è proprio questa la mia vera lingua, quella parlata da generazioni nella mia famiglia.
L’italiano è una forzatura che entra nelle famiglie negli anni ’50, con la televisione, prima non esisteva realmente. Quando D’Azeglio disse che fatta l’Italia bisognava fare gli italiani, non aveva per niente torto. L’Italia non è linguisticamente unita, ma è un insieme di italiani regionali. Mi ricordo ad esempio, che una volta a Mestre, chiesi indicazioni a una signora sulla cinquantina, e non ho capito nulla perché non mi ha risposto in italiano.
Nella mia famiglia parliamo italiano e, ovviamente anche palermitano, ma i miei nonni e i loro genitori si esprimevano soprattutto in dialetto, semplicemente perché quella è la loro lingua.

Nel disco ci sono canzoni molto vive come Vucciria che descrive uno dei quartieri più famosi di Palermo. Ascoltando il pezzo, sembra quasi di ritrovarsi nella scena, descritta in modo molto vivido. Sbaglio o sembra quasi un mondo a parte, mitico, o comunque a tinte forti?

La Vucciria è uno dei quartieri di Palermo dove avvengono delle cose, anche negative, ma accadono. È vero, è un posto mitico. Se uno evita di giudicare si ritrova in un mondo in cui si sviluppa un’aggregazione completa, tra tutti indistintamente dalla posizione sociale, dalla provenienza. Un’atmosfera che deriva dai mercati arabi. È un modo di vivere la notte a Palermo, ed è anche un argomento che mi è caro, oltre ad essere caldo.

Questa è una domanda che ho già fatto in passato, perché mi piace sondare il bagaglio culturale da cui attingono i cantautori. L’artista o il gruppo che ascolti in questo momento, e quello che ti ha fatto venire voglia di intraprendere questa carriera.

Io la vedo così: la musica si esprime da sola. E questo è importante. Mi sono sempre piaciute più le canzoni che gli artisti. Non mi sono mai soffermato sull’estetica, o sul personaggio, piuttosto su quello che scrive. Poi ascolto sempre musica, in continuazione, cercando sempre di scoprirne nuova. Tra gli artisti ho sempre ascoltato Bob Dylan, tanta musica inglese, ad esempio mi piace Pete Doherty. Quand’ero più piccolo ricordo che ascoltavo Pino Daniele nella Panda di mia mamma. Una volta ho trovato un video dei Franz Ferdinand su MTV, era la prima volta che li ascoltavo. Sono stati come una botta in testa. Il giorno dopo sono andato subito a comprare il disco.

Qualche anno fa hai vinto il premio Fabrizio De Andrè (in tanti si lamentano del fatto che ormai questi premi abbiano perso valore). Quanto ha segnato la tua carriera?

A me il premio ha dato visibilità. È un festival che premia artisti nuovi, al contrario di altri. Ho partecipato due volte. La prima ho vinto il premio di Repubblica.it, un premio minore. L’anno dopo (nel 2013) il premio per la migliore interpretazione con la canzone In funn’o mare. Un premio in denaro, e i “picciuli” servono sempre. La cosa bella è che è stata la prima volta che ho guadagnato con la mia musica, anche perché mi sono sempre visto come un artigiano, uno che costruisce le canzoni con le proprie mani. Per me è stato un riconoscimento, più che una vittoria. Non si tratta di fama, di essere riconosciuti per strada, non è quello che mi interessa. Per un artista è molto più soddisfacente il riconoscimento della propria arte. Poi è pure difficile trovare contest in cui gli organizzatori, i direttori musicali, ti ascoltino davvero. Anche i festival maggiori, come Sanremo, sono una macchina fatta da chi scrive canzoni solo per quel contesto, per quel tipo di musica “da festival”. Ma allora dov’è la poesia? Che senso ha scrivere solo per farci soldi? La musica è altro! È nata come qualcosa di mistico, come accompagnamento di riti religiosi, che serve a mettere in contatto l’uomo con qualcosa di più grande, con qualcosa che hai perso. È troppo profonda per essere definita.

Qual è la canzone di Sfardo alla quale sei più legato?

Rimmillo du voti. Ci sono legato per motivi personali. Si tratta di un percorso completato, che ha un inizio e una fine. È un romanzo di formazione all’interno del disco.

Come hai detto prima stai portando l’album in giro, per presentarlo. Anche se probabilmente è ancora presto, hai altri progetti in porto?

Per ora il progetto è appunto il tour, che ancora non ha date definite. Continuerà finché troverò posti in cui suonare. Da maggio in poi ci saranno date più frequenti, forse qualche festival. Una soddisfazione è arrivata in questi giorni, a quanto pare l’album è il secondo più ascoltato su Rock.it. Questo vuol dire che le persone vogliono parlare del disco.

Ultima domanda e poi ti lascio libero. Esiste una scena musicale palermitana? Ultimamente si stanno facendo sentire molti artisti di questa città.

Non so se si può parlare di scena palermitana. Sicuramente ci sono molti e bravi artisti, che fanno musica anche da molto tempo e che cercano di far vivere la musica ad ogni costo, senza l’aiuto da parte delle amministrazioni. Non so come si può definirla, ma sicuramente c’è molta solidarietà tra i musicisti palermitani.

Grazia Pacileo

Nata alla fine degli anni ’80 a Catanzaro, vive ora a Pisa dove studia Lettere moderne. Ha collaborato a una web radio, conducendo un programma e scrivendo recensioni musicali. Appassionata di libri e di film in bianco e nero, ma soprattutto divoratrice di musica in cuffia e dal vivo.