Addio a Imre Kertész, lo scrittore Premio Nobel sopravvissuto ai campi di sterminio

imre kertész

Era il 1944 quando un quindicenne ungherese di origine ebraica fu deportato nel campo di Auschwitz, e da lì il suo sguardo sul mondo cambiò inesorabilmente. “L’arte non serve a giudicare le persone, ma a ricreare l’attimo”, scriveva Kertész, e per lo scrittore ungherese, morto oggi a Budapest all’età di 86 anni, l’attimo fu quel giorno del 1944.

Tornato in Ungheria, nel 1948 iniziò a collaborare come giornalista per un quotidiano di Budapest, ma nel 1951, quando il giornale divenne organo del partito comunista, fu licenziato.

Dopo due anni di servizio militare, iniziò la sua carriera di scrittore traducendo opere di Freud, Nietzsche, Canetti, Wittgenstein e altri.

Nel suo primo e più celebre romanzo, Essere senza destino (Sorstalanság), basato sull’esperienza diretta dell’autore, racconta la storia di un ragazzo ungherese di quindici anni nei campi di sterminio nazisti. Impiegò dieci anni per scriverlo e faticò molto anche per pubblicarlo, e poco dopo fu subito messo al bando. Solo dopo il crollo del muro di Berlino, Kertész e le sue opere cominciarono a rinascere e a essere apprezzate a livello internazionale. Nel 2002, dopo anni di intensa attività, gli fu conferito il Premio Nobel per la letteratura per una scrittura che sostiene la fragile esperienza dell’individuo contro la barbarica arbitrarietà della storia.

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Redazione

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