Intervista ad Armando Bonato Casolaro – “Basta solo che sorridi”

È uscito quest’estate il nuovo romanzo di Armando Bonato, “Basta solo che sorridi”, la storia vera di Aadil, un bambino orfano che decide di fuggire dal Pakistan e inseguire il suo grande sogno: diventare un giocatore professionista di cricket. L’autore ce ne parla in questa breve intervista.

  • Il romanzo celebra valori come l’amicizia, l’amore, la tenacia, la passione, in modo poco convenzionale. Da dove ha colto gli spunti per una narrazione di questo tipo?

Vede, quelli che lei menziona sono valori a cui ho sempre dato molta importanza, anche se potrebbe sembrare retorica. Sono anche valori che ho cercato di descrivere, spero bene, in tutti gli altri sette miei romanzi. Se poi li si legge in maniera poco convenzionale, bene, era proprio ciò che volevo. Comunque tengo a precisare che questi spunti sono cresciuti in maniera naturale narrando una storia vera. La vita di Aadil.

  • Dall’ambientazione del romanzo e dalle descrizioni che lei fa, è visibile l’influenza dei suoi viaggi. C’è qualche personaggio che le è caro e che nasce da un incontro in particolare?

In realtà, avendo viaggiato verso tante parti del mondo, di personaggi a me cari ne potrei citare diversi, tuttavia uno in particolare resta fisso nella mia mente. L’ho incontrato in Madagascar: era a capo di una tribù, sconosciuta al mondo, composta da una dozzina di persone. Lui, il capo, un omino simpatico, aveva 109 anni, gli altri poco meno. Il loro villaggio era immerso in una foresta conosciuta solamente da “pochi” tagliatori di alberi il cui legno pregiato serve per costruire mobili lussuosi. Un mio amico italiano, che vive metà dell’anno ad Antananarivo, la capitale, è uno di quei pochi. Un giorno l’ho accompagnato per vedere di persona il taglio di quegli alberi preziosi. Maurizio, questo è il suo nome, conosceva bene il capo tribù e me l’ha presentato. Il vecchio mi ha parlato per circa mezz’ora facendosi tradurre da Maurizio. È stata la mezz’ora più interessante della mia vita durante la quale ho scoperto che il nipote del capo di una tribù, che nessuno al mondo conosce, era diventato docente di Teologia all’università della Sorbonne.

  • Il romanzo fa dell’imprevedibilità la sua cifra caratterizzante. Quanto possono incidere, secondo lei, l’inaspettato e la volatilità degli eventi nell’inseguimento di un sogno come quello di Aadil?

Premetto che io amo l’imprevedibile. Il mio motto è: “Aspettati ciò che non ti aspetteresti mai”. Mi auguro, e lo giudicheranno i lettori, di aver trasferito questo sentimento nel personaggio di Aadil. La realizzazione del suo sogno più grande dovrebbe esserne la prova.

  • “Basta solo che sorridi” suona un po’ come un invito alla positività e all’ottimismo. Come nasce l’idea di questo titolo?

Perdonatemi, faccio un’altra premessa. Il titolo l’avevo in testa da molto tempo, girava, girava, e non riusciva a trovare una via d’uscita, o meglio, una via d’uscita come volevo io. Tempo fa, durante uno dei miei viaggi in India conobbi, in una Missione di aiuto infantile che frequento, la storia di un bimbo che non aveva mai sorriso a nessuno. Durante tutto il volo di ritorno quella frase è stata come un mantra.

In quel periodo stavo lavorando a un altro romanzo; l’ho chiuso nel cassetto e ho aperto un nuovo foglio word dove ho scritto: Basta solo che sorridi, era un tentativo per far uscire dalla mia mente quella frase. Ebbene, è stata la via d’uscita che cercavo.

  • Durante questi mesi di pandemia ci si è dovuti un po’ reinventare, spesso a scapito dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni. Seguire i nostri sogni, in un momento particolare come questo, non è semplice. La storia di Aadil può rappresentare un messaggio di speranza, considerate le difficoltà – seppur diverse – da lui incontrate?

In realtà i mesi passati di pandemia li ho sofferti poco. Ero impegnato quotidianamente per la revisione del romanzo con il mio editor, un grosso lavoro, pertanto non ho avuto bisogno di reiventarmi. Certo, se in momenti come questi di relative difficoltà, la storia di Aadil riuscisse ad essere un messaggio di speranza anche fosse per un solo lettore, ne sarei comunque felice e orgoglioso.

  • Diventare uno sportivo a livello agonistico non è esattamente un sogno alla portata di tutti: si tratta di conciliare dedizione, duro lavoro, talento, e forse un pizzico di fortuna. Quale tra questi “ingredienti” hanno inciso di più nella storia di Aadil?

Credo che nella vita di ognuno di noi se si vuole realizzare un sogno ci sia bisogno di diversi ingredienti, è vero, spesso non bastano duro lavoro e dedizione. Nel caso di Aadil sono certo che, avendolo conosciuto personalmente, anche la fortuna abbia giocato a suo favore, ma non solo lei, anche la fede.

Redazione

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