Un manifesto per la relazione autore-editore

autore e editore

La settimana scorsa abbiamo introdotto i 5 manifesti per il futuro dell’editoria pubblicati da The Bookseller che andremo a riproporre, uno a uno, nelle settimane seguenti. La prima tappa prevede il manifesto per la relazione autore/editore, con i suoi pregi e i suoi difetti, esposto dall’autrice Diana Kimpton. La Kimpton mette in luce lo squilibrio che molto spesso lega le due figure più importanti del rapporto editoriale, proponendo alcune soluzioni. Si riporta un riassunto dei punti affrontati, per il manifesto completo leggere l’articolo originale.

  • Riconoscete che siamo una parte indispensabile delle attività editoriali.
  • Iniziate a trattare gli autori come partner alla pari e a darci una congrua parte di profitti.
  • Accettate che siamo imprenditori intelligenti e autonomi.
  • Smettete di insistere che dobbiamo avere un agente prima di potervi presentare un libro.
  • Rimuovete dai contratti la clausola di non concorrenza, o applicatela a entrambe le parti, così anche voi non potrete produrre un’opera concorrente.
  • Accettare contratti a tempo determinato.

Il manifesto della Kimpton, sebbene affronti tematiche interessanti, risulta essere una visione molto limitata dell’editoria, in quanto presuppone che tutti gli editori siano ‘approfittatori’ o, nella migliore delle ipotesi, imprenditori senza il minimo interesse verso l’autore. Questo può essere vero nel caso di grandi gruppi editoriali che, proprio per l’ampiezza e la varietà del loro catalogo, devono gestire i rapporti con centinaia di autori ogni anno con un conseguente impoverimento dei legami interpersonali. Realtà editoriali più contenute e indipendenti, che pubblicano annualmente 10 o 20 libri, sono in grado − o dovrebbero esserlo − di offrire agli autori un maggior supporto, professionale ed emotivo, pur chiarendo che l’editore non è uno psicologo.
Tuttavia, la Kimpton evidenzia un aspetto molto importante: la libertà di produrre un libro secondo proprio gusto e necessità. Da sottolineare però che non tutti sono in grado di compiere questo passo: per essere self-publisher non basta scrivere (bene), occorre dimostrare di saper essere autocritici senza peccare di insicurezza e di saper gestire il lavoro redazionale, e a volte grafico, in autonomia. Tutto questo implica avere, oltre capacità tecniche che si possono sviluppare con l’esperienza, molto tempo a disposizione, elemento da non sottovalutare quando si ha un lavoro a tempo pieno.

Vale la pena soffermarsi, invece, punto per punto, su alcune proposte che l’autrice avanza per migliorare la relazione autore-editore.

  • L’autore è fondmentale. Vero: senza di lui, l’editore non avrebbe lavoro.
  • Partner alla pari. Non proprio: autore e editore svolgono due lavori molto diversi per raggiungere il medesimo scopo, la pubblicazione. Questo non vuol dire che il lavoro dell’editore sia più importante di quello dell’autore (vedi punto 1), è semplicemente diverso. L’editore è un tecnico, una professionista, un mediatore tra autore e lettore.
  • Profitti adeguati. La Kimpton, affrontando l’argomento ‘profitto’ nello stesso contesto della parità di relazione, fa intendere che autore e editore debbano percepire uguale compenso, o quasi. Qui non si può abbandonarsi in speculazioni su “è giusto” o “non è giusto”, è una pura questione economica da affrontare con dati alla mano. A tal proposito una tabella riepilogativa dei costi fissi, variabili, commerciali, e dei diritti d’autore contenuta nel libro I mestieri del libro di Oliviero Ponte di Pino (TEA, 2009) esemplifica le spese di un’ipotetica casa editrice. In breve: riferendosi a una tirtatura di 10 mila copie il cui prezzo di copertina è 18 euro, ai 180 mila euro di fatturato vanno sottratti oltre 174 mila euro di spese sostenute, con un conseguente guadagno di poco più di 2 euro a copia. Il compenso dell’autore è inferiore considerando che i suoi diritti variano dal 5% al 12% (di più nel caso di firme autorevoli) ma, senza voler sminuire il tempo e le risorse emotive e intellettuali da lui impiegate, bisogna sottolineare che l’autore non sostiene i costi che invece gravano su una casa editrice.
  • Rimuovere la clausola di concorrenza. Il contratto standard italiano prevede che “l’autore si impegni per tutta la durata del presente contratto a non pubblicare o far pubblicare […] altra opera che per la sua natura possa fare diretta concorrenza a quella oggetto del presente contratto”. Rimuovere tale clausola porrebbe l’editore in una condizione di rischio, poiché potrebbe essere accusato di plagio nel caso in cui la medesima opera, o similare, fosse pubblicata da un altro editore. Al contrario, imporre che tale clausola sia, come suggerisce la Kimpton, applicata anche all’editore risulta poco realistico dal momento che autori diversi spesso e volentieri affrontano tematiche e aspetti simili di una storia facendosi potenzialmente concorrenza. Esempio pratico: i casi editoriali young adult Uno splendido disastro di Jamie McGuire e Un incantevole imprevisto di Marianne Kavanagh, entrambi editi da Garzanti per la collana Narratori moderni. Questo è un caso lampante, poiché si tratta di libri pressoché identici nella copertina e simili nel titolo e nella trama: una ragazza per bene si innamora di un ragazzo ‘sbagliato’.
    Se la clausola di non concorrenza fosse applicata anche all’editore la narrativa romantica moderna avrebbe vita breve.

Federica Colantoni

Federica Colantoni nasce a Milano nel 1989. Laureata in Sociologia all’Università Cattolica nel 2013, pochi mesi dopo inizia il percorso di formazione in ambito editoriale frequentando due corsi di editing. Da dicembre 2014 collabora con la rivista online Cultora della quale diventa caporedattrice. Parallelamente pubblica un articolo per il quotidiano online 2duerighe e due recensioni per la rivista bimestrale di cultura e costume La stanza di Virginia.