Tribook: il portale che fa incontrare lettori e librerie. Intervista a Michela Gualtieri

Si è ormai concluso il Salone Internazionale del Libro di Torino, ma noi della redazione abbiamo la fortuna di poterlo rivivere riproponendovi i fatti salienti di cui siamo stati testimoni. Oggi ci dirigiamo nuovamente al padiglione 2, nell’area Book to the future, precisamente nell’angolo dedicato alle startup. È venerdì 15 maggio, il secondo giorno di fiera, facendoci largo tra le scolaresche andiamo a seguire l’evento “Startup editoriali e strategie social” e subito dopo ci facciamo una bella chiacchierata con una delle oratrici, Michela Gualtieri, fondatrice di Tribook, giovane impresa avviata con Brian Suarez (che menzioniamo non solo perché è lo sviluppatore del sito nonché smanettone della situazione, ma anche e soprattutto perché ci ha concesso di accamparci dietro la sua postazione per l’intervista).

Si potrebbe parlare a lungo di Tribook e del suo potenziale, ma non sarei esaustiva quanto la sua ideatrice, e quindi lascio la parola a Michela.

Raccontaci di Tribook: di cosa si tratta?

Tibook è una piattaforma web che mette in comunicazione i lettori con i librai della loro città, in quanto consente loro di cercare un libro e di localizzare sulla mappa le librerie che ne dispongono in quel momento, acquistarlo online e farselo recapitare da un corriere in bicicletta nel giro di poche ore.

Tribook è stato uno dei vincitori dell’iniziativa Dr. Startupper, promossa dall’Università Cattolica di Milano. Quanto è stato utile il progetto per te che provieni da una formazione umanistica?

Dr. Startupper è stato utilissimo per tutti noi. A parte i tre progetti che sono stati riconosciuti i più promettenti e che hanno ottenuto più visibilità e incoraggiamento, penso che sia stata una grossa svegliata per tutti quanti: sviluppare la mentalità imprenditiva, studiare il mercato del lavoro, sapersi inventare e proporre in maniera creativa è stato il grosso apporto di questo corso per tutti noi. Personalmente è stato importantissimo, ci ha fornito delle competenze e indicato strade che non sospettavamo esistessero. Io non mi sarei mai pensata come qualcuno che fa business. Invece il segreto è quello. Noi che abbiamo formazione umanistica possiamo avere progetti culturali estremamente interessanti ma non sapere come farli stare in piedi. Questo è un grosso male, soprattutto visto che i fondi pubblici per la cultura sono sempre meno e quando arrivano magari vengono spesi in maniera inoculata proprio perché non li sappiamo investire con lungimiranza. Io penso che l’iniziativa privata, l’iniziativa creativa anche, possa generare valore lì dove non arrivano iniziative pubbliche.

Viviamo nell’era tecnologica e tu stai creando una tribù di lettori e librerie in cui il libro diventa un catalizzatore sociale…

Mi piace questa definizione di “catalizzatore sociale”. Sì, diciamo che il libro ha già di per sé la potenzialità di essere questo. Questa forza intrinseca che hanno le storie è stata sempre sfruttata: tutte le comunità, tutte le popolazioni avevano delle storie che fondavano la loro identità. Oggi, sempre di più, questa ricerca di identità è frammentata, si creano piccole comunità di lettori attorno a singoli titoli, singoli autori. Ma sicuramente l’oggetto libro in sé ha già questa potenzialità. Con la rete questa caratteristica si sta amplificando. Se prima i club di lettura erano un circolo in cui si riunivano, il sabato pomeriggio, una decina di persone che avevano letto lo stesso libro nel corso dell’ultimo mese, adesso possono essere migliaia, milioni di persone che hanno letto, magari, Harry Potter, ne parlano e si confrontano. La rete ha ampliato tutto questo.

Hai preso la logica del km 0 e l’hai applicata alle librerie indipendenti di Milano, offrendo loro un servizio enorme, ossia quello di essere trovate. Che non è così scontato, è corretto?

Sì, giusto. Quello che noi riscontriamo nelle grandi città è che il lettore non ha il tempo di raggiungere la libreria che può disporre del libro che sta cercando in quel momento. Noi vogliamo coprire questa distanza, rendere consapevoli le persone che la città in realtà è già piena di libri. Una città come Milano, che ha una cinquantina di librerie indipendenti, potenzialmente ha un catalogo vastissimo da far invidia e concorrenza alle grandi librerie online, anche perché molte di queste librerie sono specializzate, fanno ricerca sul proprio catalogo offrendo titoli di nicchia. Questo è il potenziale di un progetto come Tribook, che mette in rete tutti questi cataloghi e ne costruisce uno enorme facendo di Milano una libreria estesa.

A proposito di cataloghi, sono le librerie a scegliere i titoli da inserire in Tribook o l’intero catalogo vi entra in automatico?

Si basa tutto sugli accordi con i librai. L’automatismo arriva fino a un certo punto, gli accordi iniziali si possono anche definire in maniera da non mettere in rete tutto ma soltanto un certo settore in cui loro sono specializzati, e che quindi avrà meno sovrapposizione rispetto agli altri. L’essenziale è che i librai condividano questa visione in cui il vero concorrente non è il collega che ha la vetrina 500 metri più avanti, ma sono le grosse librerie online e le grandi catene. Quello che noi offriamo ai librai è visibilità, un servizio di e-commerce, perché noi gestiamo tutto, la piattaforma e le consegne, sono tutti servizi di pubblicità e di marketing, perché comunicare in maniera aggregata a tutte le librerie che aderiscono ha un impatto molto più forte. Sono tutti servizi che le piccole librerie non potrebbero, singolarmente, permettersi.

Quante sono le librerie aderenti?

Pensate di ampliarvi in altre città?

Oggi stiamo mettendo online la beta, adesso iniziano i test con gli utenti ed è tutto in divenire. La speranza è quella di arrivare in altre città ma sempre mantenendo una dimensione urbana, perché ha senso se il lettore acquista nelle librerie della sua città altrimenti questa filosofia del km 0, se il libro deve fare tanta strada ed entrare in un camion, si perde. Comunque bisogna considerare che qualunque libreria, anche se non dispone di un libro in quel momento, lo può ordinare. Potenzialmente il catalogo si estende ancora di più.

Ultima domanda, poi ti lascio andare. Tu fai parte di quella categoria sempre più ampia di giovani che mira a creare un lavoro invece che trovarlo. Quale consiglio daresti a chi è in difficoltà o vuole tentare di addentrarsi nell’imprenditoria.

Non tutti possono diventare imprenditori e mettersi in proprio, sicuramente però scommettere su se stessi è una cosa che tutti dovremmo fare. Analizzare il mercato del lavoro, imparare a proporsi in maniera positiva alle aziende e non con un curriculum anonimo mandato a pioggia senza avere consapevolezza dell’azienda che lo sta ricevendo, questa è una strategia che non paga soprattutto in un momento in cui c’è così tanta offerta di manodopera di vario tipo.
Io ho intrapreso con convinzione la strada della startup nel momento in cui non mi hanno proposto un contratto nella realtà in cui stavo facendo lo stage, ed è stato ragionando su questa mia motivazione personale che ho capito cosa voleva veramente dire Steve Jobs con “Stay hungry!”. C’è stato un momento in cui ho rischiato di accontentarmi, sedendomi in un ufficio che era di qualcun altro, magari con un contratto precario, pur di non fare lo sforzo di intraprendere una strada nuova. Io mi ero appena trasferita a Milano dalla Francia, avevo già fatto dei passi nel vuoto importanti e significativi, avevo lasciato un posto fisso in Francia per scommettere di nuovo su me stessa, quindi ero in un momento in cui sentivo di volermi sedere un secondo. Non mi è stato possibile perché mi hanno tolto la sedia da sotto il sedere, però è stato un bene, perché in quel momento ho rischiato di accontentarmi di una soluzione che alla lunga non mi avrebbe soddisfatto. Allora ho deciso di prendermi io stessa, con le mie forze, le soddisfazioni che un’altra realtà non mi avrebbe dato, di andarmi a prendere quello che mi spetta. “Prenditi la posizione nel mondo”, secondo me è il vero imperativo di Steve Jobs.

E sulle note di Steve Jobs ringraziamo tutti Michela Gualtieri e Brian Suarez per il servizio che stanno fornendo alle librerie indipendenti, ai lettori e, indirettamente, agli editori.

Federica Colantoni

Federica Colantoni nasce a Milano nel 1989. Laureata in Sociologia all’Università Cattolica nel 2013, pochi mesi dopo inizia il percorso di formazione in ambito editoriale frequentando due corsi di editing. Da dicembre 2014 collabora con la rivista online Cultora della quale diventa caporedattrice. Parallelamente pubblica un articolo per il quotidiano online 2duerighe e due recensioni per la rivista bimestrale di cultura e costume La stanza di Virginia.