Spotify, quanto conviene la musica gratuita? Gli artisti protestano, i discografici vorrebbero di più

Da quando è nato, nel 2008, Spotify, il servizio streaming più importante d’Europa e il secondo negli Stati Uniti, ha attirato sempre una scia di polemiche. Il modello di diffusione della musica basato sulla gratuità (a fronte dell’inserimento di spot pubblicitari) o sull’abbonamento mensile al costo di 9,99 Euro ha rivoluzionato il mercato musicale. Se da un lato ha contribuito ad arginare il fenomeno della pirateria digitale, dall’altro ha ridotto consistentemente gli introiti soprattutto degli artisti, un folto gruppo dei quali negli anni ha cercato di protestare in vari modi. C’è chi ha ritirato dalla piattaforma i propri brani, come Thom Yorke dei Radiohead in difesa anche dei giovani artisti, chi non li ha mai concessi, come i Beatles, gli AC/DC, i Led Zeppelin o gli eredi di Lucio Battisti, o chi ha reso a disposizione solo un assaggio della propria discografia (e qui la lista si allunga). Poi ci sono i “convertiti”, come i Metallica o i Pink Floyd, contrari o restii all’inizio, ma che successivamente hanno ceduto. Periodicamente anche chi non ritira ufficialmente i propri brani da Spotify si lamenta per le bassissime percentuali ricevute. Il compositore e musicista David Lowery tempo fa pubblicò un’interessante tabella con i compensi ottenuti dalle piattaforme streaming del suo brano più ascoltato, Low: attraverso Pandora, il servizio più popolare degli Stati Uniti, 1 milione 159 mila ascolti avevano fruttato “ben” 16,89 dollari, 116 mila stream su Spotify gli avevano fatto guadagnare 12 dollari e 152 mila visualizzazioni su YouTube si sono trasformati in 1,59 di introiti. Briciole, insomma! Viste le molte proteste, nel 2013 Spotify ingaugurò la pagina spotifyartists.com per rendere più trasparente il conteggio dei compensi dovuti agli artisti. Tenuto conto che Spotify trattiene il 30% degli incassi per ogni brano ascoltato e che il 70% va agli aventi diritto (case discografiche, editori ed artisti che si suddividono questa fetta a seconda degli accordi stipulati fra di loro) e che la cifra per ogni click, a seconda dell’importanza dell’artista, si aggira fra 0,006 e 0,0084 dollari, a fine 2013 il sito Rockit ha provato a fare i conti in tasca agli artisti italiani, prendendo 0,007 come compenso medio. Albachiara, ad esempio, aveva ricevuto 450 mila 796 click, che, secondo i calcoli di Rockit, avrebbe fatto guadagnare a Vasco Rossi 2300 Euro, mentre Fedez, che nel 2013 aveva avuto fortuna con il brano Cigno nero avrebbe ricavato 5300 Euro per più di un milione di ascolti. E stiamo parlando di artisti affermati o affermatissimi… Recentemente Bjork ha dichiarato che quello dello streaming gratuito è un modello “insano”, aggiungendo che la formula di Netflix è invece da considerarsi una buona: “Prima vai al cinema e dopo un po’ il film è disponibile su Netflix. Forse è questa la strada che dovrebbe seguire anche lo streaming musicale”, ha sostenuto l’artista islandese. Anche Taylor Swift lo scorso autunno ha rinunciato a caricare i propri album sulle piattaforme streaming, sottolineando la sua contrarietà al concetto di gratuità: “non voglio contribuire a un esperimento che non compensa adeguatamente autori, produttori, artisti e creatori di musica” – ha dichiarato la star americana. Il punto ora è proprio questo: anche le stesse majors discografiche, soprattutto quelle che in questo momento sono in fase di rinegozziazione dell’accordo con la il servizio streaming svedese, stanno ora scalpitando affinché Spotify acceleri la crescita degli abbonamenti a pagamento (al momento sono 15 milioni, sui 60 milioni complessivi). Per farlo, suggeriscono, bisognerebbe ad esempio fornire una più alta qualità dei files musicali, concedere alcuni album in esclusiva oppure limitare l’utilizzo della versione gratuita a un numero preciso di ore al mese, formula che per altro Spotify aveva adottato per un certo periodo, ma poi abbandonato. Sarà difficile cambiare rotta quando ormai i buoi sono già scappati… gli operatori del mercato musicale, prima di mandare il messaggio che la musica vale poco, proponendola gratuitamente o quasi, non potevano pensarci? Gli utenti purtroppo sono ormai abituati a questo concetto e sarà molto difficile farli tornare indietro, facendo capire loro che dietro alla realizzazione anche solo di una canzone ruotano una serie di professionisti che andrebbero adeguatamente compensati. Stiamo parlando di figure come l’autore, l’interprete, il musicista, il produttore, l’arrangiatore, il discografico, il manager, il fonico dello studio di registrazione, l’addetto all’ufficio stampa e alla promozione, l’editore. Per ricordarci questo semplice concetto Musicraft, associazione italiana nata da poco da un’idea di alcuni operatori del settore che organizza masterclass rivolte ad artisti emergenti, ha lanciato l’hashtag #lamusicaeunlavoro, iniziativa alla quale ha aderito anche il cantautore Roberto Angelini.

Redazione

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