“SCRIVERE”. Ovvero: cos’è/cosa dovrebbe essere realmente uno “scrittore”?

di Luca Rota, in Blog, del 29 Dic 2016, 09:00

L’etimologia della parola scrivere – nella particolare formulazione illustrata non tanto nella voce Treccani qui sopra ma in quella di seguito riprodotta (tratta dalla versione web del famoso Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani), che richiama altri significati originari come raschiare, incidere, scavare, ecc. – termini che peraltro rimandano direttamente ad una matrice prettamente artistica dell’atto in sé -, mi ha fatto riflettere (tra un panettone e l’altro smodatamente ingurgitati, già!) su una particolare interpretazione del relativo termine “scrittore” ovvero del senso contemporaneo dello scrivere, dalla quale ricavo una provocazione: quanto gli scrittori contemporanei sanno raschiare, scolpire, scavare nella lingua utilizzata, scritta e diffusa oppure quanto la rendono un mero e “inevitabile” strumento espressivo? Formulo la questione da un altro punto di vista: quanto gli scrittori di oggi, producendo letteratura, sanno creare, plasmare, forgiare o anche solo innovare la lingua, incidendo le loro opere direttamente nel corpo di essa così da modellarne la forma e dunque in qualche modo tornando a quell’accezione originaria del termine scrivere?

Credo da sempre che l’esercizio dello scrivere letterario non possa mai esimersi, in un modo o nell’altro, da una attiva necessità di evoluzione della lingua scritta, sia essa più o meno evidente. Penso allo scrittore come a un forgiatore del linguaggio, un modellatore della sua forma scritta e dunque, di rimando, di quella parlata, colui al quale è demandato – forse più che a chiunque altro – il compito di non lasciar infiacchire la lingua, di mantenerla sempre ricettiva nei confronti del presente e in moto vivace verso il futuro senza ovviamente mettere da parte il proprio passato: un arricchimento continuo, necessario e prezioso, insomma, di cui deve essere il promotore e il custode.

Posto ciò, altra domanda: dunque gli scrittori oggi, sono realmente tali oppure – a parte pochi casi – sono “solo” dei narratori? Sia chiaro, senza che l’un termine o l’altro possa e debba sancire la miglior qualità della letteratura prodotta: inutile dire che vi sono in circolazione scrittori di scarso pregio e narratori fenomenali. Ma, a prescindere da ciò, mi torna in mente quel noto motteggio di Paul Gauguin, “L’arte o è plagio o è rivoluzione“: e siccome la letteratura è arte (una verità che molto spesso tanti scrittori, o presunti tali, dimenticano per primi), la regola gauguiniana può senza dubbio essere adattata alla scrittura e indicare – ribadisco – come di principio non vi possa essere scrittura autenticamente letteraria che non rivoluzioni – o almeno non ci provi a farlo ovvero non sperimenti possibili innovazioni – la lingua, poco o tanto che sia.

Ecco, a mio modo di vedere il vero scrittore è costui: un rivoluzionario delle idee e parimenti del linguaggio – in misura certamente variabile ma altrettanto percepibile. È anche una precisa responsabilità insita nell’atto dello scrivere, questa, della quale ogni autore deve essere consapevole: potrà poi rispettarla o meno, nella massima e ovvia libertà espressiva possibile ma, in ogni caso, la deve riconoscere.