Scandalo a Cannes per il film di Lars Von Trier

La sera di lunedì 14 maggio è stato proiettato al Festival di Cannes, come film fuori concorso, The House that Jack Built di Lars Von Trier; film atteso con impazienza e timore dopo il bando del regista dal festival nel 2011, a seguito di affermazioni filonaziste ed antisemite.

Von Trier, fedele a sé stesso, ha messo in pellicola la storia di Jack, intelligente e brillante ingegnere psicopatico con tendenze ossessivo-compulsive che, dopo aver ucciso una donna che gli aveva chiesto soccorso per strada, si convince di dover continuare ad uccidere per raggiungere una perfezione estetizzante di questo atto. Ogni suo omicidio dev’essere un’opera d’arte, sempre più complessa ed ingegnosa. Inizia così una partita a scacchi contro la polizia, lunga dodici anni, condotta dal più astuto e spietato omicida seriale il cui obiettivo è realizzare l’opera d’arte definitiva: una collezione di tutti i suoi omicidi all’interno di una casa da lui costruita.

Jack è palesemente l’alter ego del regista, o meglio il pupazzo di cui si serve il ventriloquo per parlare senza aprir bocca; il suo atteggiamento e le sue parole esprimono tutto ciò che al “non gradito” Von Trier non è concesso.

Il protagonista è un individuo spregevole, si macchia di crimini orribili, ed il regista non avanza alcuna pretesa di farlo piacere al suo pubblico, mostra semplicemente la sua creatura.

Lo stesso Von Trier aveva ripetutamente avvertito in varie interviste e dichiarazioni che era il film più estremo che avesse mai fatto. Sul programma di Cannes era inoltre scritto a chiare lettere che conteneva “scene che avrebbero potuto dare fastidio alla sensibilità di alcuni spettatori”.

Durante la proiezione, invece, si è verificato un vero e proprio “esodo” dei membri della critica, indignati e disgustati.

Ma la critica si trova lì per analizzare, giudicare, non per rifuggire da ciò che non è di suo gradimento; un gesto del genere sarebbe risultato ingiustificato persino durante Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini.

I registi al festival presentano la propria opera per essere giudicata, e non necessariamente per cercare di piacere alla critica e alla giuria.

D’altra parte, lo stesso regista presenta il suo alter ego Jack affiancato da Virgilio, tetro personaggio guida a coscienza del protagonista, che lo accompagna, come fosse un novello Dante, nel suo viaggio attraverso l’inferno (come suggerito esplicitamente nella locandina del film) che però, in questo caso, è anche la sua destinazione finale.

Von Trier offre una sua interpretazione di Dante all’Inferno, che non purifica il protagonista ma lo fa scendere sempre più in basso nella scala morale del genere umano, in una ricerca estetica, raffinata, mostruosa e personalissima; quanto lo era stata quella di Jean Baptiste Granuille ne Il Profumo.

Lars Von Trier ha presentato il suo film fuori concorso per essere proiettato e giudicato.

Di certo ha infuso la sua opera di spirito sadiano e sadico; nulla di nuovo pensando al personaggio da cui traggono origine questi aggettivi.

Ma riflettendo sulla posizione subalterna del regista nei confronti del corpo giudicante; qualora non si fosse verificato lo spiacevole episodio del 2011, la reazione da parte della critica sarebbe stata la stessa?