Rapporto shock Ue sull’istruzione: in Italia tre giovani su quattro sono senza laurea

Fine anno, tempo di bilanci. L’ultimo trimestre del 2016 è in dirittura d’arrivo. Lo so, siamo nella seconda settimana di novembre, mancano quasi due mesi all’inizio del nuovo anno, ma dubito che da qui al 31 dicembre arrivi il tanto agognato punto di svolta sul fronte dell’occupazione giovanile, e non solo. I “grandi” numeri della ripresa sono ormai passati in secondo piano, tutto il dibattito si concentra su un singolo tema: il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre che, a detta di molti, sarà l’unico mezzo per gli italiani di scegliere tra l’apocalisse e il paradiso terrestre. Dunque, in caso di vittoria del Sì, tutti i problemi dell’Italia saranno spazzati via in poco più di un anno. Dopo il 2015 e il 2016, è arrivato il turno del 2017: sarà l’anno della svolta, dicono alla Leopolda. Sarà… Peccato, però, che i numeri sembrano indicare una visione diametralmente opposta a quella millantata negli ultimi mesi dall’attuale Consiglio dei ministri. Mi riferisco, in particolare, al tema scottante della disoccupazione, anello debole di un Paese costantemente in bilico: infatti, in base gli ultimi dati diffusi dall’Istat sull’occupazione il quadro complessivo continua a essere preoccupante.

Ora, d’altro canto, è giunto il momento di discutere anche sul tema “università” e il complesso rapporto tra laurea e mercato del lavoro, sempre se questo rapporto non sia anch’esso in fin di vita. Infatti, agli ultimi dati emersi sui cosiddetti Neet (2,2 milioni di giovani completamente inattivi), si è aggiunto di recente un documento pubblicato dalla Commissione europea sull’istruzione, in cui l’Italia, anche in questo caso, occupa il gradino più basso della classifica. Secondo il rapporto, in Italia si laurea soltanto il 25,3% degli italiani, a fronte di una media europea del 38,7%. L’analisi della Commissione, pur rilevando dei miglioramenti nelle prestazioni del sistema scolastico, affronta alcuni aspetti che sembrano minare la qualità del capitale umano del Paese. Uno di questi è l’ingresso nel mercato del lavoro. Secondo il rapporto europeo, il tasso di occupazione dei neodiplomati tra i 20 e i 34 anni è del 48,5% in Italia, ossia solamente un ragazzo su due trova lavoro in un periodo compreso tra uno e tre anni dopo aver concluso gli studi. Mentre in Europa la media è del 76,9%. E il dato più sconcertante è che mentre in Europa la media negli ultimi anni è aumentata, in Italia si è addirittura ridotta: nel 2012 era, infatti, del 54,1%. E risulta difficile anche per coloro che possiedono una qualifica alta. Dal 2010 la cosiddetta fuga dei cervelli «è in costante crescita», rileva la Commissione. Un fenomeno che «non è stato compensato da un parallelo rientro in Italia di lavoratori con le stesse elevate qualifiche». Inoltre, come dimostrano i dati di Almalaurea, rispetto ai coetanei impiegati in Italia, i giovani laureati italiani che lavorano all’estero si sentono gratificati, guadagnano di più e ottengono incrementi di stipendio con maggiore frequenza.

Insomma, in Italia siamo dinanzi a una situazione piatta e senza via d’uscita, nonostante gli “sforzi” sbandierati dal Governo, fervente promotore di una visione politica che continua a mostrare chiari segnali di impotenza in un contesto che tende sempre di più a escludere un’intera generazione, il cui recente epiteto, “perduta”, sembra ormai destinato a confrontarsi con una realtà disarmante e, allo stato attuale, immutabile.

Luigi Caiafa

Luigi Caiafa nasce in Puglia nel 1985. Dopo aver conseguito la laurea magistrale in Archeologia e Storia dell’arte antica presso la Sapienza, Università di Roma, inizia un percorso di formazione in ambito editoriale. Da gennaio 2016 collabora con la casa editrice Historica e la rivista online Cultora.