Narcos, un successo di veridicità che fa fare bella figura agli americani

Narcos è una serie basata su fatti realmente accaduti, bellissima proprio perché si prende poche libertà narrative. Talmente poche che la si potrebbe descrivere usando un testo universitario. Non ci credete? Ecco alcuni brani tratti da Volgere di millennio di Manuel Castells.

Escobar finanziava un programma di edilizia popolare e di servizi sociali per i poveri di Medellìn e riuscì a costruirsi un bacino di consenso fra gli abitanti delle baraccopoli. Cercò perfino di difendere i «diritti umani» delle sue gang giovanili contro i palesi abusi delle forze di polizia.

[I cartelli di Medellìn e Calì] puntavano entrambi alla piena integrazione nella società colombiana. A più riprese manifestarono ai vari presidenti succedutisi in Colombia la loro disponibilità a ripagare in contanti l’intero debito estero dello stato […] e a reinvestire i propri capitali in Colombia, diventando così uomini d’affari rispettabili. Non si trattava di un sogno impossibile, ma finì per rimanere un sogno, perché l’amministrazione degli Stati Uniti si schierò risolutamente contro, decisa a utilizzare ogni mezzo per evitare che la Colombia diventasse un rifugio sicuro per i narcotrafficanti.

Tutto qui. Narcos racconta le vicende del più ricco mafioso della storia, di come Pablo Escobar abbia provato a diventare l’uomo più rispettabile della Colombia e di come abbia inesorabilmente fallito. Secondo Forbes il 7° uomo più ricco del mondo quando il suo impero era all’apogeo.

Ma la voce narrante è di un americano, dell’agente della DEA Steve Murphy. Narcos è, quindi, anche la storia di come gli Stati Uniti siano a più riprese intervenuti nella vita, politica e non, della Colombia: si tratta forse della parte più romanzata, oseremmo dire, perché gli americani devono sempre far capire al mondo che loro sono i più forti, ma sono anche i più buoni. Non a caso, nell’episodio 5, quando viene approvata l’estradizione dei narcotrafficanti negli Stati Uniti, Murphy dirà: “Pablo aveva qualcuno da temere: noi.”

narcos

Screenshot tratto dall’episodio 5, Ci sarà un futuro

La sceneggiatura, quindi, era stata già scritta mentre le reali pedine si muovevano sullo scacchiere del narcotraffico. Sono state perfino usate immagini di repertorio, sia durante i titoli di apertura che durante il normale svolgimento degli episodi: Escobar che va in moto; Escobar che tiene un comizio per essere eletto deputato (e lo diviene, un po’ come se TotòRiina si fosse seduto nell’Assemblea Regionale Siciliana); Escobar che gioca a calcio… ma anche scene di vera e propria guerra urbana.

Insomma, la domanda sorge spontanea: cosa ha fatto la produzione? Ha aggiunto attori bravissimi, musiche calzanti, una regia magistrale e ha scelto di usare lo spagnolo in alcuni dialoghi per favorire la veridicità, sottotitolandolo in tutte le lingue dove Narcos è stato distribuito, ma mai traducendolo.
Narcos è, insomma, una storia fatta e finita prima ancora di essere stata concepita. E che storia…

Fonte:
– M. Castells, Volgere di Millenio, Milano, Università Bocconi, 2008

Roberto Leone

Laureato in Storia con tesi dal titolo “Le Quattro Giornate di Napoli. Una discussione” all’Università di Napoli “Federico II”. Co-fondatore del blog letterario “Storici&Salottiere”, redattore della sezione Storia della testata on-line “La Cooltura” da marzo 2015, collabora con “Cultora” da settembre 2015. Da dicembre 2015 è caporedattore di Terre di Campania. Appassionato di scrittura, è attualmente laureando in Scienze Storiche.