Lo Hobbit, l’ultima battaglia di Peter Jackson

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Un balenar d’elmi e di cozzanti spade in cui si affrontano nani, elfi, umani, orchi, mannari, pipistrelli, giganti, aquile. “La battaglia delle cinque armate” è un lungo ed emozionante scontro a fronte multiplo. Sangue e tradimenti, addii e riscatti corrono fino all’atteso incontro di Bilbo e Gollum. Un duetto tra due grandi attori, un dialogo brillante, la stretta dell’avventura e dell’ignoto, l’essenza della narrazione. Infine la comparsa dell’anello. La sequenza vale il film. Così Peter Jackson esce di scena. Terzo della saga e ultimo della monumentale rilettura di Tolkien, “Lo Hobbit” è l’atto finale del regista neozelandese. In attesa dell’uscita nelle sale mondiali il 17 dicembre, l’ultimo capitolo della seconda trilogia della saga è stato presentato in prima assoluta il 2 dicembre a Londra tra un bagno di folla e un esercito di star: Martin Freeman, Richard Armitage, Evangeline Lily, Luke Evans, Benedict Cumberbatch, Orlando Bloom, Ian McKellen, Lee Pace, Andy Serkis, Stephen Fry.
Il prequel de “Il Signore degli anelli” si conclude con una delle più attese battaglie antecedenti al compimento del viaggio di Frodo verso il Monte Fatp. Ilfantasy più leggero e meno eroico della seconda trilogia tuttavia, convince sempre meno la critica. L’avventura lunga 12 anni ebbe inizio nella calma della contea finchè Gandalf il Grigio non si presentò alla porta di Bilbo Baggins. Allora 12 nani guidati dal loro capo Thorin Scudodiquercia arruolarono lo hobbit Bilbo nella battaglia alla riconquista del loro vecchio regno, Erebor, da troppo tempo nelle grinfie del terribile drago Smaug. Lacrime e sangue, ghiaccio e fuoco: avvincenti combattimenti si susseguono nella Terra di mezzo a ritmo di morti gloriose e addii commoventi. Fino all’ultimo scontro epocale. Dopo aver reclamato la loro patria dal drago Smaug, la compagnia dei nani ha involontariamente scatenato una forza letale nel mondo. Infuriato, Smaug abbatte la sua ira ardente e senza pietà alcuna sugli uomini di Pontelagolungo. Ossessionato dal recupero del suo tesoro, Thorin sacrifica l’amicizia e l’onore, mentre lo Hobbit si ritrova di fronte a una scelta disperata e pericolosa. Seguono fiamme, morte e distruzione: il conflitto raggiunge toni colossali. Nani, elfi e uomini allora devono decidere se unirsi o essere distrutti. Bilbo si ritrova così a lottare per la sua vita e quella dei suoi amici in una battaglia decisiva per le sorti della Terra di Mezzo.
“È il più potente ed emozionante dei tre film”, afferma commosso il regista. Per i più fedeli però, “Lo Hobbit” conserva i toni da blockbuster senza mantenere le promesse. L’attesa non sembra ricompensata. Se la prima trilogia del “Signore degli anelli” è diventata epica, entrando nella cultura mondiale con 30 candidature all’Oscar e 17 statuette, la seconda trilogia è la più costosa della storia del cinema (675 milioni di dollari) senza raggiungere la grandeur del capolavoro e la ricerca stilistica della prima.

Se “Lo Hobbit” sembra aver perso l’afflato epico, sicuramente si è arricchito del meglio della tecnologia digitale. Dalle 48 cineprese Red Epic, al 3D, alla risoluzione 5K, Jackson spinge la sua battaglia ai limiti estremi dei confini con il mondo dei videogiochi. Un kolossal spettacolare dal punto di vista visivo dunque, che si allontana sempre di più da Tolkien. Martin Freeman, Orlando Bloom e Richard Armitage, seppur ringiovaniti dal digitale, rimangono custodi di una continuità garantita solo dalla regia di Jackson. Abbandonato il set in Nuova Zelanda, il regista però rassicura che “Lo Hobbit” non è la fine: “non ho mai avuto il senso che fosse finita davvero”.

Sono sicuro che anche quando avrò settant’anni ci sarà qualche ragazzino che scoprirà questo film per la prima volta”, afferma Richard Armitage, il volto di Thorin Scudodiquercia. I fan di Tolkien non hanno età: il precursore del moderno fantasy aveva scritto “Lo Hobbit” prima della seconda guerra mondiale, ma conquistò anche gli americani ai tempi della guerra in Vietnam. Così anche gli spettatori di Jackson non conoscono limiti di tempo né di spazio. “È come vivere per sempre”, continua l’attore. Trasmettere l’amore per il cinema dunque, è per ora il progetto del regista. Il resto rimane alla letteratura.

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Redazione

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