L’Italia penultima nel rapporto Censis laureati tra i 30 e i 34 anni. Ma il problema è un altro

E quindi, dati Censis, siamo in Europa i penultimi per percentuale di laureati, almeno nella fascia d’età 30-34 anni. L’impressione è però che il vero problema non attenga propriamente a una questione di puro numero e che quindi la stampa, piuttosto compatta in questa occasione, stia spaventando inutilmente o faccia perlomeno della semplificazione eccessiva. Almeno nella fascia d’età indicata, il tasso di laureati in Spagna è più alto di quello che c’è in Germania. Ora, ognuno pensi al divario economico e occupazionale esistente tra questi due paesi e tragga le proprie conclusioni.

Il pro blema italiano è piuttosto un altro, riassumibile nel modo seguente: non ha molto senso lamentare un basso numero percentuale di laureati senza che si tenga conto delle esigenze (e opportunità) reali e del tessuto produttivo del Paese. Insomma, il problema del numero attiene, semmai, a un’eccessiva percentuale di laureati distribuiti in certi ambiti (accompagnato però, questo è molto importante, da una interpretazione ancora novecentesca dell’utilizzo di alcune lauree, i cui relativi corsi universitari non si sono ancora saputi adeguare alle nuove esigenze e opportunità) rispetto ad altri. Siamo pertanto assolutamente convinti della necessità di selezionare, attraverso numero chiuso o altre forme (ad esempio uno sbarramento alla fine del secondo anno di corso, se non si è stati in grado, avendo scelto l’opzione fulltime, di mantenere una certa media e/o di sostenere un tot. numero di esami), all’interno di quelle facoltà, ossia quelle umanistiche (ma nel senso più ampio), che sono maggiormente associate ad un elevato tasso di disoccupazione. Altrimenti continueremo a sfornare laureati detentori di un titolo che rischia di non servire assolutamente a nulla sul piano occupazionale, cosa che oggi sempre più è, alla faccia dei demagogici appelli del “numero chiuso fascista!” o altre buffonate che siamo constretti a sentire nel nostro Paese in nome di un concetto quantomeno equivoco di democrazia e di diritto allo studio.

Marco Testa

Cresciuto nell’isola di Sant’Antioco, ha compiuto studi storici e archivistici parallelamente a quelli musicali. Già collaboratore della cattedra di Bibliografia musicale del Conservatorio di Torino e docente presso l’Accademia Corale “Stefano Tempia”, collabora con festival e istituti di ricerca. Autore di saggi e articoli, lavora presso l’Archivio di Stato di Torino ed è critico musicale di “Musica – rivista di cultura musicale e discografica” e de “Il Corriere Musicale”.