La “Lettera di Faenza” dimostra che “la Svizzera è nata in Romagna”

Le radici storiche dell’attuale Svizzera (paese tradizionalmente neutrale sin dalla prima dichiarazione ufficiale, nel 1674) si attestano nel 1291 (in epoca basso medievale) quando i tre cantoni di Uri, Schweiz e Unterwalden ratificano il “patto costitutivo di Grütli”, che garantiva loro la gestione autonoma dei traffici lungo l’itinerario del San Gottardo e che portò all’indipendenza dal dominio degli Asburgo (1315).
La grande storia ha però dimenticato un evento che anticipa il prezioso Patto eterno confederale: a far chiarezza su questo episodio minore ci ha pensato Alteo Dolcini (1923-1999) con il suo breve saggio La Svizzera è nata in Romagna (Stefano Casanova Editore), pubblicato postumo. L’autore era un romagnolo innamorato della Romagna e in particolar modo della sua piccola patria, Faenza (famosa in Italia per la produzione di ceramiche), dove ha ricoperto per anni l’incarico di Segretario Generale del comune. La tesi centrale del volume è contenuta nel titolo: gli svizzeri devono ai romagnoli di Faenza la loro libertà.
Per quale motivo? Procediamo con ordine: nel 1237 Federico II cala in Italia con il suo esercito (del quale fan parte anche mercenari svizzeri). Vuole ristabilire la sua autorità sul suolo italico, lacerato da guerre intestine tra gli esponenti di parte guelfa, fedeli al Papa, e ghibellina, fautori dell’Imperatore. Dopo aver sgominato le forze della Lega Lombarda (confederazione di potenze fedeli al Papa) a Cortenuova, Federico II prosegue con la sua opera di conquista, soggiogando Toscana e Marche per poi risalire verso nord, con l’obiettivo di “far pentita Bologna”, capofila del guelfismo in quelle zone. I piccoli comuni limitrofi capitolano uno dopo l’altro e il 26 agosto 1240 l’esercito imperiale muove verso Faenza.
Qui avvenne un fatto totalmente imprevisto: la piccola città bagnata dal Lamone (al tempo con una popolazione stimata di circa 20mila abitanti) riesce a tener fuori dal perimetro delle sue mura le forze assedianti per ben otto mesi, costringendo le truppe a “svernare” in Romagna. Il mito popolare vuole che il sovrano abbia scelto come dimora un’antica casa padronale in cima a una collina che domina Faenza, chiamata da secoli “Germana”, per l’appunto. È in quest’abitazione risalente al XIII° secolo che Federico II (sempre stando alla leggenda) ricevette la delegazione di maggiorenti svizzeri che (contrariati dal lungo assedio che teneva i loro soldati impegnati da mesi) chiedevano la riscossione d’ingenti somme in denaro o, in alternativa, “la libertà”. E la ottennero: nel dicembre 1240 Federico II accolse gli svizzeri sotto il suo dominio diretto, affrancandoli dal vessante giogo dei conti d’Asburgo. Il documento è passato alla storia come “Lettera di Faenza” e (dopo circa 50 anni di guerriglie con gli Asburgo) si arriva al fatidico 1291, data canonica del Patto confederale fra i tre cantoni svizzeri, ai quali si aggiunsero Lucerna (1332), Zurigo (1336) Friburgo (1481) e Basilea (1481).
La Storia l’ha dimenticato, ma Dolcini non ci sta: la Svizzera − nel celebrare la sua indipendenza − deve ricordarsi degli ostinati romagnoli di Faenza che (resistendo lungamente all’assedio) han portato l’Imperatore a firmare, dentro un cascinale di pietra grezza, il primo documento storico che pone le basi della libertà della Svizzera.

Fonte: Libero Quotidiano, 03 ottobre 2015

Andrea Emmanuele Cappelli

Andrea Emmanuele Cappelli nasce a Forlì nel 1993. Vive a Meldola (dove ricopre la carica di consigliere comunale). Ha scritto per la Voce di Romagna e per Libero. Stanco della compagnia altrui, trascorre le giornate tra i boschi dell’Appennino romagnolo, in totale solitudine. Rilegge spesso lo Zibaldone di Leopardi.