I successi delle Tribune, la Rai fa sfracelli solo quando è “retrò”

di Gennaro Pesante, in Blog, Editoria, Media, New media, Recensioni, Televisione, del 23 Nov 2016, 13:29

Continua a mietere successi l’informazione Rai – quella offerta dai telegiornali – sul referendum del 4 dicembre. Dopo le ottime performance del Tg2, ieri è andata benissimo la prima del Tg1: ben 4.221mila telespettatori per uno share del 15,5% (di poco sotto i numeri di Striscia la Notizia, ed è tutto dire). Rubrica che ha fatto meglio anche del telegiornale stesso, complice probabilmente il traino del film “Io ci sono” sulla storia di Lucia Annibali che infatti ha tenuto davanti allo schermo 4.716mila telespettatori (share al 17,5%). Numeri lusinghieri per un programma non di vecchio ma di vecchissimo stampo, decisamente riconducente alle mitiche Tribune politiche del passato, con tempi scanditi dal cronometro (una volta c’era la clessidra) e nessuna sovrapposizione tra gli ospiti. Domande secche e risposte tagliate con le cesoie al termine del tempo. Una goduria.

Il pubblico sta premiando questo modo tradizionale di fare informazione, mentre continua a punire i talk (ieri Politics è riuscito a fare peggio pure di Mi Manda Rai3, nonostante i baffi di Semprini e il suo lodevole tentativo di far veleggiare una barca che è praticamente ormeggiata). Certo, la collocazione in palinsesto conta. Anche Rai Parlamento, ad esempio, svolge un lavoro egregio eppure le sue Tribune, che vengono collocate in modo diverso nei palinsesti nei periodi elettorali, fanno ascolti mediamente bassi. Sicuramente la formula si può rivedere, e molto dipende anche dagli ospiti in studio. Quando ci sono i leader politici è facile registrare un ascolto più alto. Ovvio. Allora, a maggior ragione, che senso ha infarcire la programmazione televisiva di programmi dove politici di ogni risma vanno e vengono senza che quasi nessuno se ne accorga? Forse il punto è proprio questo: puntare sulla qualità e non sulla quantità.

Certo non dovrebbe trattarsi di una mera riduzione della visibilità della politica in tv, ma di un ripensamento globale di come il mondo delle istituzioni viene raccontato. E allo stato attuale c’è un’abbondanza di indizi su cui si potrebbe tranquillamente lavorare per offrire al pubblico della tv generalista prodotti diversi, meno pollai e più approfondimento, e magari anche qualche format davvero innovativo su cui sperimentarsi. E che finora non s’è visto.

La crescente richiesta di informazione di qualità dovrebbe stimolare una seria riflessione anche sul contributo di Rai Parlamento ai contenuti politico/istituzionali della tv di Stato. E, al di là delle abitudini dure a morire del campione Auditel, sarebbe interessante ripensare a tutto questo in chiave letteralmente tematica. E quindi una delle domande, a questo punto, potrebbe essere: a cosa serve il canale Rai Scuola – praticamente meno di una meteora nella galassia di viale Mazzini – quando ci sono strutture come Rai Parlamento che sono decisamente sotto utilizzate rispetto al ruolo che svolgono in termini di “servizio pubblico”? In altre parole, gli spazi ci sono, che cosa aspetta “mamma Rai” a ridisegnare l’offerta tv in termini realmente al passo con i tempi?! Nel frattempo la concessione pubblica è scaduta, e quindi quale momento più idoneo per un sereno, ma anche ferreo, esame di coscienza generale?! Ma tanto, il 5 dicembre, sarà cambiato il “mondo”. O forse no.

Gennaro Pesante

Gennaro Pesante, nato a Manfredonia nel 1974. Giornalista professionista, vive a Roma dove lavora come responsabile dei canali satellitare e youtube, e come addetto stampa, presso la Camera dei deputati.