Due esistenze bruciate sono “Ferite d’arma da gioco”

Ferite d'arma da gioco,

Nella semi oscurità di un palco, un uomo e una donna preparano le scene dell’incontro di due vite. Lo fanno nella semplicità di pochi oggetti, scambiandosi il sorriso che precede il gioco. Sono entità surreali, in attesa di recitare una storia nello spazio di un buio parco giochi. Quando le luci si accendono, i loro volti si contraggono in smorfie di dolore, gonfiati dalla nausea, strizzati dal disagio. Così si presenta “Ferite d’arma da gioco” – Gruesome PlaygroundInjuries– al Teatro dell’Orologio di Roma, regia diStefano Scandaletti, conChiara Capitani e Diego Maiello, dal testo diRajiv Joseph,finalista del Premio Pulitzer 2010.

Lo spettacolo mette in scena un quadro di sofferenza, in cui stati infantili si alternano a malcelate fratture interiori, senza mai scadere nel patetico. Con una dinamicità incalzante, prendono forma attimi di un comico piacevole che, senza abbattere la connotazione drammatica, la caricano di un dato umano disarmante. Si genera un forte legame d’empatia con gli spettatori, in attesa di ricomporre quel che ci viene presentato come il gioco di due vite. Diego e Clara si manifestano come ricordi, affioranti all’improvviso da un’ombra.Il loroamore si dipana in un morboso rapporto con l’esistenza, producendo un legame malato, nell’ambito di un autolesionismocontinuo e persistente. Entrambi si muovono in una quasi totale assenza scenografica; sfumano il proprio mondo in un silenzio echeggiante di suoni. Non c’è ordine, nella comparsa degli eventi delle loro vite, quanto un disordinato percorso di dolore: un cammino oscuro, di luci malsane e corpi biancastri. Ogni evento delle loro vite si presenta così come un’epifania, volta a spiegare quella pura umanità, che si fa straordinaria costante, persino nell’arrecarsi del dolore. Ferite, incidenti e cicatrici segnano gli incontri di questi due corpi, accartocciati su se stessi in una desolazione dalla terribile inutilità. Sono condannati a devastare se stessi, in una costante ricerca: solo una definitiva unione potrebbe salvare entrambi. Diego e Clara sono ognuno l’angelo custode dell’altro, senza sapere nulla del potere curativo insito nelle loro vite. Sono fuochi precari in un movimento di sistole e diastole, programmati per trovarsi e lasciarsi.

Con una forza ed un’espressività tonante, la recitazione di Chiara Capitani e Diego Maiello è una boccata d’aria, in un contesto di voci spesso timide e piatte. I dialoghi si trasformano in un inseguimento incalzante di parole, perfettamente coordinato ed esplosivo nella sua dinamicità. È una gioia da vedere ed ascoltare. Quella che caratterizza gli attori è una passione dirompente, dalla sicurezza sorprendente. È una verità che traspare dalla forza dei gesti, dalla carica dei movimenti. Il coinvolgimento nello sforzo recitativo è totale, la tensione dei corpi mozza il respiro, fiacca la voce;consuma le energie e arreca dolore. Sbocciano così personaggi dalla vitalità vera e presente, il cui flusso colpisce lo spettatore. Se il testo ha un ruolo fondamentale in tutto questo, è la voce a farsi forza creatrice degli universi d’inchiostro. Si spande nel freddo della stanza, rimbalza sulle pareti nere e penetra negli occhi di chi vede, imponendo i suoi luoghi, le sue storie. Sentimento ed emozione diventano una vibrazione concreta negli arti, dove l’attore si immerge nella sua creatura e vi respira attraverso la mostruosa bocca.
In “Ferite d’arma da gioco” quella dimensione psicologica, altrimenti intrappolata nella mente, riesce a proiettarsi in uno spazio dove il dolore si fa gioco. E si compone così un grande spettacolo.

Gabriele Di Donfrancesco
@GabriDDC

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