Culturalmente Corretto: Dall’infanticidio all’aborto selettivo, un’antica attualità

Se vivendo all’ombra della cultura occidentale, vi illudete che molte pratiche antiche siano svanite, tornate con i piedi per terra con la notizia odierna di una donna vietnamita che ha abortito 18 volte pur di avere un figlio maschio. Voleva suicidarsi per la disperazione, ma poi il marito ha deciso di cercarsi qualcun’altra per farsi generare l’erede XY.

La pratica dell’aborto selettivo per genere non è che la temibile evoluzione di quello che un tempo erano l’infanticidio e l’abbandono: attualmente la tecnologia dell’ecografia, dell’amniocentesi e della villocentesi offrono agli esseri umani la “prevenzione” dei due suddetti reati, spesso a basso costo. Sia chiaro che non si parla di aborto strictu senso, ma di interruzione di gravidanza pilotata esclusivamente in base al sesso del bambino.

Anche nell’antichità, ovviamente, le sfortunate erano le bambine: mantenere troppe figlie significava avere meno braccia nei campi e più doti da recuperare per un eventuale matrimonio, insomma un peso che si poteva evitare abbandonando o uccidendo le neonate.

Ancora oggi in molte parti del mondo sottosviluppate o culturalmente arretrate le bambine vengono vendute come spose perché i genitori non ritengono che la donna sia in grado di lavorare e, dunque, di procurare guadagno con le proprie forze. Donna e bambina non sono che sinonimi nelle realtà patriarcali, visto che anche l’adulta non era e non è che un’eterna bambina senza diritti, venduta dal padre al marito come una proprietà, che senza un padrone non può rendere nulla.

Nel 1991 il premio Nobel Amartya Sen denunciò il cosiddetto hidden gendercide, vent’anni dopo l’Economist diffuse il cosiddetto genericidio, parente stretto del genocidio in quanto mietitore di donne nel mondo, sin dal ventre materno. Le donne, insomma, sono ancora mute e invisibili , sia prima che dopo la nascita. Conferma la sconcertante verità il Sex-ratio at birth: per 100 femmine nascono 130 maschi, quando il rapporto biologicamente normale varia tra i 102 e i 106 maschi.

A prescindere dall’ormai scontato disgusto occidentale verso tali pratiche comuni nell’Est del mondo, e, sorvolando sulla nota esistenza di leggi internazionali che tutelano i sacrosanti diritti del bambino, dal Corpus Iuri Civilis di Giustiniano (529 d.C) in poi, meno conosciute sono le conseguenze relative a questa pratica: in India e in Corea si è sviluppato il bride trafficking perché i giovani di buona famiglia hanno difficoltà a trovare moglie; tali spose sono le stesse che, dopo svariati aborti dovuti al sesso femminile del feto, potranno essere abbandonate dai mariti, che cercheranno altre donne per portare avanti la dinastia con i figli maschi. Le ripetute interruzioni di gravidanza, e lo stress psico-fisico che ne deriva, sono tra le cause maggiori di suicidio tra le donne cinesi, dall’adolescenza all’età adulta. Nonostante gli aborti selettivi di genere siano vietati e la popolazione venga sensibilizzata con delle campagne (e.g. Care for Girls, 1995), tale direttiva non si concilia con una radicata e cristallizzata tradizione, impossibile da scardinare.

A poco valgono quindi gli interventi legislativi se non riescono a scalfire l’uso comune e l’abitudine secolare, che portano il padre a compiere ancora quel gesto silenzioso di “vittoria”, qualora il medico gli comunichi che il figlio è maschio, e che può, dunque, continuare a respirare.

Alessia Pizzi

Tribuna Italia

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