ArT in PiLls: L’Annunciazione scomparsa di Arturo Martini

Oggi vi voglio parlare di un’opera di scultura presente un tempo a Brescia. Non vi porterò indietro molto nel passato, ma viaggeremo attorno agli anni Trenta del Novecento, quando nella città lombarda, tra il 1927 e 1932, si svolsero i lavori di rifacimento di quell’area cittadina oggi conosciuta come Piazza della Vittoria. L’architetto Marcello Piacentini sventrò e demolì l’antico quartiere di origine medievale colmo di viuzze per dare forma ad una piazza ariosa di stile razionalista. Nello spazio è presente il Torrione, o edificio multipiano come lo chiamavano allora, che costituiva per il tempo uno dei primi esempi di grattacielo in Italia. Proprio negli spazi esterni di questo edificio intervenne l’artista trevigiano Arturo Martini, portato a Brescia dal Piacentini, il quale realizzò uno dei pannelli decorativi, purtroppo andato perso durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. L’opera alla quel mi sto riferendo era un bassorilievo in cotto (o meglio in terra refrattaria) rappresentante L’Annunciazione. Le cronache del tempo dicono che l’opera non venne distrutta in modo completo, ma ci fu qualcun altro che, al posto di farla restaurare e recuperare, la fece sparire del tutto. Un gesto che da quel momento tolse alle generazioni post belliche la possibilità di vedere un manufatto caratterizzato da forme razionaliste e anche un po’ primitive.

La mattonella decorativa della quale esistono solo fotografie era composta da un fondale semplice decorato con alcuni arbusti, non tanti solo due o tre, che creavano un effetto scenografico riecheggiante un’ambientazione naturale. In primo piano si potevano vedere le due figure protagoniste dell’importante momento dell’annuncio della venuta di Cristo. A destra, seduta su uno scranno si intravedeva la figura della Vergine, ritratta nell’atto di sorreggersi il volto con la mano destra, anche se in realtà quel gesto mi ha dato la sensazione di voler sottolineare l’attenzione con la quale la donna, futura madre del Redentore, stava ascoltando le parole pronunciate dall’angelo in piedi accanto a lei. Osservando l’immagine, la Vergine teneva in grembo un cestino contenente dei frutti, almeno mi sembrano frutti, forse segni della vita pronta a nascere e sgorgare. L’angelo, del quale si intravedeva un’ala dietro il braccio destro, indossava un semplice panno che gli copriva il pube. Il suo capo era stato realizzato rivolto verso Maria, proprio durante l’atto dell’Annunciazione. In mano, come noterete, la figura angelica teneva un fiore, molto probabilmente un giglio, che in ambito pittorico ha sempre assunto diversi significati come la purezza, la castità, la pudicizia, ma che simboleggiava anche l’immacolata concezione e l’immagine di Gesù. Un Cristo che in questa rappresentazione non compariva, ma era solo annunciato, grazie alla presenza del niveo fiore. Lo stile del Martini era puro, essenziale, le forme anatomiche da lui modellate erano lineari e spoglie di qualsiasi decorazione eccessiva. Quel loro essere arcaiche, basilari e, in un certo sento universali, mi hanno ricordato molto i ritratti compiuti da Cézanne, da Modigliani, da Picasso e dall’arte africana, i quali affondavano le loro radici d’ispirazione nella purezza formale dell’arte primitiva.

Di quest’opera scultorea ne racconto anche nel libro Brescia Segreta, edito da Historica edizioni.

Arturo Martini è stato uno scultore, pittore e incisore italiano, era il terzo figlio di un cuoco e di una cameriera. La famiglia era così povera che viveva nelle torri medievali di Treviso. Martini si formò come orafo e ceramista a Treviso e Venezia e studiò anche all’estero (Monaco e Parigi, siamo attorno al 1911) dove conobbe la cultura europea, mantenendo vivo il legame con forme di espressione tradizionali. Nel 1914 face parte della Secessione Romana ed espose alla Mostra Futurista e Negli stessi anni collaborò con L’eroica, un’ innovativa rivista dedicata alla xilografia. Gli anni Venti segnarono per lui la svolta stilistica con il superamento del naturalismo ottocentesco, in funzione di uno stile nel quale fece rivivere la solenne umanità della nostra scultura antica. M. fece parte del gruppo di artisti di Ca’ Pesaro e tra il 1925 e 1926 partecipò alla III Biennale Romana e alla Biennale di Venezia. Morì nel marzo del 1947.